"Marchi contraffatti? Parodie, no inganno al consumatore": al processo brand di lusso contro la rete del falso

Uniti i due procedimenti scaturiti dalle indagini della Finanza del 2019, a processo anche tre società tra Rimini e San Marino, oltre a diversi imprenditori e loro collaboratori

A cura di Riccardo Giannini Redazione
29 ottobre 2025 16:13
"Marchi contraffatti? Parodie, no inganno al consumatore": al processo brand di lusso contro la rete del falso - Il tribunale di Rimini
Il tribunale di Rimini
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Proseguirà il 26 novembre prossimo, in Tribunale a Rimini, il processo che vede tra le parti civili alcuni noti marchi di moda o brand famosi: Supreme, Balenciaga, Gucci, Nike e Adidas tra i primi, Mc Donald's tra i secondi. Oggi (mercoledì 29 ottobre) sono stati uniti due diversi procedimenti, nati da un'inchiesta della Guardia di Finanza, che nel 2019 aveva scoperto una complessa rete dedicata alla realizzazione e alla distribuzione di capi d'abbigliamento con marchi falsificati, capace di generare profitti milionari. Tra gli imputati ci sono persone fisiche, quali imprenditori e loro collaboratori, e società con sedi a Rimini e San Marino. Le accuse sono contraffazione di marchi e ricettazione, riciclaggio e auto riciclaggio: nel mirino della Finanza sono finiti anche sospetti flusso di denaro verso la Repubblica di San Marino. Il processo nasce da un'operazione della società sammarinese coinvolta nelle indagini, che ha registrato un marchio famoso americano. Secondo la pubblica accusa, questo espediente era necessario a simulare la legittimità della produzione. Un'interpretazione contestata dalla difesa: i titolari del brand non avevano registrato il marchio né in Italia né sul Titano e la commercializzazione era limitata proprio a questi due territori. Anche sulla contraffazione gli avvocati difensori, tra cui Piero Venturi, sono pronti a dare battaglia: i marchi sarebbero stati "mescolati" sui capi di abbigliamento (ad esempio il celebre baffo della Nike con la scritta Adidas) o comunque modificati, per farne in sostanza una parodia. Nessun inganno dunque verso il consumatore finale, secondo la difesa, anche perché sui capi di abbigliamento nelle etichette sarebbe stata riportata la parola "faking", "fingendo". Per l'accusa invece il doppio marchio famoso su una maglia potrebbe indurre comunque in inganno l'acquirente, che potrebbe pensare a un co-branding, all'unione di due brand famosi.

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