L'indiscreto: lettera all'ex magazziniere Santarcangelo, abbandonato dall'amato pallone
Non è dovuto questo articolo, ma ci sono momenti nella vita, dove quando vedi la tv, internet, leggi il giornale (nazionale, locale, quello che sia) è giusto intervenire se c’è un tuo ex collega in d...
 Redazione
                                                                Redazione
                            
                         
                                                    Non è dovuto questo articolo, ma ci sono momenti nella vita, dove quando vedi la tv, internet, leggi il giornale (nazionale, locale, quello che sia) è giusto intervenire se c’è un tuo ex collega in difficoltà, ma soprattutto una persona umana col quale hai condiviso un’esperienza calcistica (bella o brutta non importa), di breve o media durata non saprei o forse troppo lunga per spezzare quel cordone chiamato euforia. Già euforia. Daniele Ciardi, oggi è sull’occhio del ciclone, è quello sporco, quello che ha rovinato la carriera dei giocatori (rimane da capire di chi e di quale grande carriera stiamo parlando), quello che giocava a poker o si vendeva le cosiddette partite con loro (gli estranei); quelli che dicono di essere innocenti ma che sotto-sotto magari avevano capito che quella persona, quell’uomo, era troppo debole per sconfiggere il suo male.
Nel preciso istante in cui ha giocato, Daniele Ciardi ha perso. Carriera, famiglia, la possibilità di una vita normale. Sono finiti anche i soldi, quelli puliti, quei pochi guadagnati facendo un onesto lavoro, perché Daniele lavorava, seguiva la prima squadra, guidava il pulmino, accompagnava i ragazzi delle giovanili a destra e sinistra imparando anche il senegalese, il marocchino o altre lingue, arricchendo cosicchè il suo bagaglio linguistico mescolandolo il dialetto romagnolo a quello toscano. Questo suo modo di fare e di agire lo aiutava a farsi forza trovando nella simpatia l’alchimia giusta per intendersi con giocatori di varie origini, culture e tradizioni. Magari quello che volete sentirvi dire voi onesti, voi che non sbagliate, voi che siete perfetti o forse voi che avete il papà che ha 40 anni ancora vi paga gli studi universitari o che siete nati e cresciuti dentro una Ferrari, che Daniele era semplicemente un delinquente. Non è così! Oggi Ciardi è l’ombra di un uomo. Non ha un lavoro, vive da solo, ha perso l’assegno della vita. Daniele era un giocatore di seconda fascia e sebbene agli inizi di carriera avesse raccolto una manciata di presenze nelle giovanili del Cesena (allenato tra l’altro da Silvio Poli), fu chiaro fin da subito che non sarebbe diventato un altro Amarildo, come improvvidamente pronosticato da qualcuno. Calcisticamente parlando non si era mai mosso dall’Emilia Romagna, a Montevarchi in Toscana ci era semplicemente nato. Soldi e desiderio di rivalsa. Furono queste le motivazioni che spinsero Ciardi a varcare la porta dei campionati minori fino a traferirsi addirittura, a fine carriera, a Novafeltria, nell’entroterra riminese, dove divenne idolo della tifoseria gialloblù ma anche il figliol prodigo del presidente Michele Sabba che lo arricchì a dovere. Ovunque è stato si è guadagnato il soprannome di “Bomber”, un micidiale cecchino d’area di rigore che rifilava sempre ad ogni portiere avversario grossi dispiaceri. La corsa, la voglia di andarsi a prendere sui campi da calcio il pallone non rientravano nel suo dna calcistico ma probabilmente anche di vita, perché se solo oggi è arrivato alla percezione di aver sbagliato qualcosa è perché ha toccato davvero il fondo. C’è chi tuttora sostiene che Ciardi si sia fatto male con le proprie mani, io credo che fu semplicemente una pedina nella mani di persone dotate di straordinaria lungimiranza. Una dote, quest’ultima, che non avrebbe mai potuto far parte del bagaglio di un ex calciatore e dell’allora magazziniere scarsamente acculturato, dal modesto livello di istruzione e privo della percezione relativa alle conseguenze di medio-lungo termine della sua azione. L’essere considerato un ex giocatore non gli è mai andato giù e da lì i primi sbagli dovuti al gioco che lui stesse ha riconosciuto nelle scuse pubbliche di fine agosto di fronte alla stampa. Fosse stato per lui avrebbe continuato a guadagnare giocando anche se gambe e fiato non lo permettevano. In questi casi subentra anche ciò che noi umani chiamiamo depressione. I soldi non bastavano, le ore in più sul lavoro sembravano dovute e mai apprezzate, allora forse (nessuno può saperlo) entra dentro di se quell’io raffigurato sulla spalla sinistra dalle ali dell’angelo e sulla spalla destra dalle corna del diavolo. Daniele, conoscendolo avrà fumato la sua classica sigaretta, avrà guardato quel pacchetto che le conteneva con la scritta sopra “nuoce gravemente alla salute”. Mai più frase veritiera di quel momento, sedotto e abbandonato da coloro che riteneva amici (calciatori, dirigenti, allenatori) e da quel maledetto pallone che lui tanto ha amato. Non ti resta che piangere o forse iniziare a correre su quei campi per raccogliere il pallone più importante da depositare in fondo alla rete. Questa volta caro Daniele cerca di far parte della squadra giusta perché è di vittoria che sto parlando quella che ti permetterà di rialzarti e di dare una svolta alla tua vita privata, riprendendoti l’orgoglio, la dignità che in questo momento ti hanno calpestato ma soprattutto il sorriso che ti ha sempre contraddistinto.
Daniele Manuelli
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