Cardiologia, Rimini all'avanguardia: nuovi dati rivoluzionano le linee guida

Anche Filippo Ottani della cardiologia dell'Infermi protagonista dello studio Reebot

A cura di Riccardo Giannini Redazione
12 settembre 2025 12:55
Cardiologia, Rimini all'avanguardia: nuovi dati rivoluzionano le linee guida -
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Aprire una significativa riflessione sull’impiego dei beta-bloccanti nella cura post-infarto. È quanto deriva dai risultati dello studio Reboot (condotto congiuntamente in Spagna e Italia), illustrati nell’ultimo Congresso della Società Europea di Cardiologia (European Society of Cardiology), svoltosi a fine agosto a Madrid davanti a oltre 8.000 delegati provenienti da tutto il mondo. Questo trial clinico internazionale era finalizzato a valutare l’utilizzo della terapia cronica orale a base di beta-bloccanti nei pazienti reduci da un infarto miocardico acuto (Ima) sottoposti a rivascolarizzazione percutanea con angioplastica (Pci), in particolare un potenziale beneficio di questi farmaci sulla sopravvivenza a lungo termine, assenza di recidive infartuali e/o nuovi episodi di scompenso cardiaco rispetto al gruppo di controllo.

“Lo studio ha inequivocabilmente documentato che la somministrazione routinaria prolungata dei beta-bloccanti per via orale, quoad vitam come consigliato fino ad oggi da molte linee guida internazionali, incluse quelle dell’Esc, non ha più ragione di essere applicata nei pazienti con Ima trattato con Pci in presenza di una funzione cardiaca di pompa conservata, ovvero con una frazione di eiezione superiore al 50%, accerta con l’ecocardiografia pre-dimissione in tutti i pazienti”, spiega Filippo Ottani, Direttore della Cardiologia di Rimini e coordinatore della parte italiana dello studio, insieme al dottor Roberto Latini dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano, oltre che coautore della pubblicazione apparsa sul New England Journal of Medicine.

“L’indicazione, fino ad oggi valida – aggiunge Ottani – nasceva da studi clinici condotti tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, in cui spiccava l’assenza di rivascolarizzazione sistematica dei vasi coronarici stenotici e occlusi e delle più moderne terapie mediche di protezione del miocardio ischemico e/o preventive dello scompenso cardiaco e della morte improvvisa”.

Lo studio Reboot ha sanato la carenza di dati aggiornati in pazienti trattati con terapie state-of-the-art, arruolando 8.600 pazienti con Ima trattati con Pci e randomizzati a terapia beta-bloccante (circa 4.300 pazienti) o braccio di controllo (circa 4.300 pazienti). I pazienti, una parte dei quali curati nelle Cardiologie dell’Ausl Romagna, sono stati seguiti per 4 anni di follow-up, al cui termine il tasso di eventi avversi (tra cui la morte per tutte le cause) è risultato sovrapponibile tra i due gruppi, rendendo così possibile “alleggerire” la terapia domiciliare dei pazienti infartuati.

“Tuttavia i beta-bloccanti non vanno in pensione, almeno non del tutto – fa notare Latini – L’indicazione alla sospensione di tali farmaci vale se il cuore esce dall’episodio acuto di attacco cardiaco con una funzione ventricolare normale. Se la frazione di eiezione risulta inferiore al 40% dopo l’Ima, i beta-bloccanti rimangono farmaci salva-vita e restano un presidio quoad vitam imprescindibile”.

Lo studio Reboot ha anche contribuito a chiarire un altro aspetto dubbio dell’applicazione della terapia beta-bloccante nel post-infarto. Infatti, pazienti che “escono” dall’Ima con una moderata disfunzione ventricolare (frazione di eiezione tra il 41 e 49%) tendono ad assomigliare ai pazienti con disfunzione ventricolare severa (frazione di eiezione inferiore al 40%) e quindi beneficiano anch’essi della terapia beta-bloccante, che non va quindi eliminata dall’armamentario terapeutico.

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