Contratti pirata costano 1,5 miliardi al terziario: per lavoratori significano 8.200 euro in meno l'anno
Minori salari e tutele, ma anche un danno per le casse pubbliche: oltre 750 milioni di euro persi tra Irpef e contributi
I contratti pirata nel terziario e nel turismo continuano a generare effetti pesanti non solo sui lavoratori, ma sull’intero sistema economico italiano. Secondo un sondaggio realizzato da Ipsos per Confesercenti, il ricorso a contratti non rappresentativi, con condizioni economiche e normative inferiori ai contratti collettivi firmati dalle organizzazioni più rappresentative, determina perdite significative in termini di salari, welfare e diritti.
Per ogni lavoratore coinvolto in fenomeni di dumping contrattuale, la stima è di oltre 8.200 euro di mancati vantaggi annui, tra retribuzioni più basse e minori tutele. Una cifra che, moltiplicata per il numero di addetti coinvolti, porta a un totale di quasi 1,5 miliardi di euro sottratti ogni anno al sistema economico.
L’impatto non riguarda solo lavoratori e imprese. A soffrirne sono anche le finanze pubbliche: Confesercenti evidenzia infatti che il minor gettito Irpef derivante dai contratti pirata supera i 300 milioni di euro, a cui si aggiungono quasi 450 milioni di euro di minori contributi versati. Complessivamente, il danno per lo Stato supera dunque i 750 milioni di euro all’anno.
Confesercenti ribadisce la necessità di contrastare con decisione il dumping contrattuale, tutelando la concorrenza leale tra imprese e garantendo ai lavoratori condizioni dignitose e coerenti con i contratti nazionali maggiormente rappresentativi. Una tutela che, oltre a sostenere il potere d’acquisto delle famiglie, contribuirebbe a rafforzare la sostenibilità del sistema previdenziale e le entrate fiscali del Paese.
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