Il voto sulla cittadinanza agita il centrosinistra
Nella maggioranza tensioni su fisco e terzo mandato

Scoppia un caso nel centrosinistra dopo l’esito del referendum consultivo sulla cittadinanza. Secondo i dati diffusi dall’Istituto Cattaneo, nelle principali città italiane ha votato No tra il 55% e il 65% degli elettori del Movimento 5 Stelle e tra il 15% e il 20% di quelli del Partito Democratico. Un risultato che ha generato tensioni tra le forze progressiste.
“Battaglia giusta, ma strumento sbagliato,” ha commentato Giuseppe Conte, leader del M5s, prendendo le distanze dall’iniziativa referendaria. A lui ha replicato Riccardo Magi, segretario di +Europa e promotore del quesito: “Conte cerca solo alibi per non fare nulla”.
All'interno del Pd crescono i malumori, in particolare nell’area riformista, che critica la gestione del tema, ma per ora non si registrano rotture formali. I vertici del partito rilanciano l’unità, sottolineando l’importanza dei 14 milioni di voti raccolti e la centralità della battaglia sul lavoro.
Sul fronte della maggioranza, il clima non è più disteso. Le tensioni si concentrano su due dossier centrali: il taglio dell’Irpef e il terzo mandato per i governatori. Giorgia Meloni ribadisce che il prossimo passo del governo sarà la riduzione delle tasse per il ceto medio, ma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti frena, chiedendo tempo per valutare la sostenibilità delle misure. Matteo Salvini, invece, rilancia con una priorità diversa: “Serve pace sociale. Pensiamo alla rottamazione di milioni di cartelle esattoriali”.
Nel frattempo, Forza Italia conferma la propria contrarietà alla proposta di estendere a tre i mandati consecutivi per i presidenti di Regione, posizione che rischia di riaccendere frizioni all’interno della coalizione di governo.