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La coraggiosa storia del piccolo Tommaso, affetto da una rara malattia

Tommy è affetto da Champ1 una mutazione genetica molto rara: solo 6 casi in Italia. Il padre Daniele, riminese, racconta come la ricerca e il fare rete con le altre famiglie nel mondo sia l'unico punto di partenza per trovare una cura

A cura di Redazione
31 dicembre 2023 07:10
La coraggiosa storia del piccolo Tommaso, affetto da una rara malattia - Daniele, Francesco, Tommy ed Elisa
Daniele, Francesco, Tommy ed Elisa
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Tommaso ha 3 anni, grandi occhi chiari e curiosi ed un sorriso che scalda il cuore. Vive a in provincia di Mantova con il fratellino Francesco, mamma Elisa e babbo Daniele.

“Poco prima della sua nascita” racconta Daniele Palumbo, riminese, informatico e scout dentro e fuori “ci hanno detto che qualcosa non andava per il verso giusto. All’inizio era solo un ritardo di crescita, quando è nato era ipotonia assiale, poi le prime ecografie e Tac”

Dopo mesi di analisi, controlli e visite, questo “qualcosa” ha avuto un nome: Champ1 (Chromosome Alignment-Maintaining Phosphoprotein)  una mutazione genetica, molto rara e di recente individuazione, nel 2015.

“Ieri, dal punto di vista medico” dice Daniele “Nella maggior parte dei casi, questa malattia non è ereditaria ma, ad oggi, capita statisticamente (insieme a tutte le altre malattie “de novo”) nel 2% dei bambini. Nel suo caso, la proteina è troncata, un po’ come se sul libro di ricette leggessi la parola fine a metà preparazione. Non viene fuori un gran risultato, nel migliore dei casi. Il modo per individuarla si chiama “esoma”, un esame che fino a qualche anno fa aveva liste di attesa di anni dalla data del prelievo del sangue.”

“Dopo i primi momenti di stupore e scoraggiamento” racconta Daniele “ci siamo subito attivati. Di fronte alle pochissime informazioni su CHAMP1, la prima cosa eracercare di capire qualcosa di più e trovare altre persone nella nostra situazione.”

Era ed è fondamentale fare rete con famiglie, persone, realtà piccole e grandi non solo per sentirsi meno soli. “La ricerca è l’unica speranza per il futuro” continua Daniele “Per nostra fortuna esisteva già una fondazione negli USA, a cui ci siamo agganciati ed ora siamo parte fondante, tramite l’associazione europea da noi fondata”.

In tutto ciò, Tommaso è gioviale, sorridente e curioso. Usa tutti i sensi per trovare il suo posto nel mondo. Anche se è frustrato quando non viene capito.

Quale è stata la vostra prima reazione quando Champ1 è entrata nella vostra vita?

Difficile esprimerlo a parole. La cosa che si avvicina di più è: perché noi? Non ci droghiamo, non fumiamo, facciamo una vita normale. Abbiamo fatto “tutti i controlli” (anche se scopri che se ne porterebbero fare altri, come l’esoma) in gravidanza ed andava tutto bene. Per semplificare, un treno addosso.

Champ1 che problematiche potrebbe dare?

“Di ogni”, come si dice. Champ1 serve, per chi lo ha studiato alle superiori, per la mitosi, cioè per la separazione cellulare. Quindi colpisce un po’ tutto l’organismo. Le problematiche più comuni sono deficit di intelligenza, microcefalia, disturbi dello spettro autistico, ipotonia, sindrome da vomito ricorrente, problemi ai denti, e chi più ne ha più ne metta.

In alcuni casi tumori, problemi nella deambulazione, necessità di aspirare i polmoni e qui il limite è veramente la fantasia. In sostanza chi è affetto da Champ1 come Tommaso, tipicamente non parla ed avrà bisogno per tutta la vita di qualcuno che lo accudisca.

Elisa e Tommaso
Elisa e Tommaso

Com’è la giornata tipo di Tommy?

Fortunatamente Tommaso è stato preso in una scuola speciale. In generale, sveglia, colazione e un’ora e mezza di pulmino per raggiungere i suoi compagni. Terapie individuali (per ora logopedia, psicomotricità, musicoterapia) e vita in classe. Alle 17 torna a casa.

La parte più complicata è fare giocare Tommaso. Si tratta di giochi “tradizionali”. Si fissa sullo spostarti e sul fare cose che non dovrebbe fare.

Il fatto che non parli è un grande malus per capire cosa vorrebbe. Pare che spesso non lo sappia nemmeno lui.

Daniele e Tommaso
Daniele e Tommaso

Francesco, ha 6 anni e non ha alcuna problematica legata a quella di Tommy. Come credete recepisca la situazione del fratello?

Francesco ha una enorme sensibilità. Nonostante questo ha anche tanto bisogno di stare al centro dell’attenzione. Si definisce l’avvocato di Tommaso quando lo sgridiamo, ed è vero. Vedremo come si evolverà, per ora gli vuole solo tanto bene. Gli occhi dei bambini sono fantastici.

Con le altre famiglie nel mondo avete formato una rete che si batte per far conoscere la mutazione e favorire la ricerca. Che passi avete fatto in tal senso?

Tanti, ma mai abbastanza. Ogni mese ci sono nuove famiglie con una diagnosi da Champ1, quando siamo arrivati circa un anno fa si conoscevano circa 100 casi nel mondo, ora siamo a 150, di cui 6 sono in Italia. Abbiamo ricercatori e specialisti sul territorio italiano che si stanno spendendo come Marcella Zollino (Policlinico Gemelli, università Cattolica), Simona Amenta e Francesca Peluso (Arcispedale Reggio Emilia), oltre a Carla Ferreri (CNR Bologna), Danilo Dimitri (Ospedale di Mondovì) ed il Centro Puzzle (Torino).

In più abbiamo anche Stefano Berto (università del South Carolina, USA),  che sta lavorando sugli organoidi, una sorta di cervello primordiale creato a partire da cellule del sangue.

Più tutti gli altri, a livello internazionale, da Kozo Tanaka ad Hakon Hakonarson e Joseph Baxbaum. Questi nomi ai più non diranno niente, ma tradotto abbiamo contatti con i più grossi ospedali nei vari continenti.

I quali però hanno tantissime malattie come Champ1 da gestire, motivo per cui servono tanti fondi.

Avete fondato un’associazione per raccogliere fondi e finanziare la ricerca. Come funziona nel dettaglio?

Siamo tre associazioni/fondazioni, una italiana (che diventerà di diritto europeo non appena la legislazione lo permetterà), una in UK ed una negli USA.

Il nostro obiettivo è trovare una cura per questa generazione di bambini.

Non è impossibile, anche se è molto complesso, perché devi lottare contro tanti mulini a vento, e soprattutto contro la mancanza di fondi.

La fondazione negli USA è la più antica, si parla comunque del 2015.

Abbiamo creato diversi enti perché, ad esempio, le leggi non sono chiare e le detrazioni verso stati esterni alla UE non sempre vengono riconosciute. Oltre a questo, per accedere ai fondi dell’Unione Europea è necessario avere un ente sul territorio. La stessa cosa vale, grossomodo, per UK ed USA.

Di che eventi si tratta?

Sono due appuntamenti che cerchiamo di organizzare annualmente, spostandoci tra continenti per cercare di arrivare a più persone possibile. Ogni anno organizziamo una conferenza con ricercatori e famiglie, in un continente. Nell’altro continente invece ci sono dei meetup, dedicati solo alle famiglie.

È un modello impegnativo dal punto di vista logistico soprattutto per portare e gestire figli disabili durante l’evento, ma necessario per fare in modo che le famiglie possano incontrarsi.

Non è facile raccogliere fondi quando fai ricerca veramente di frontiera. Soprattutto quando le spese che devi affrontare sono delle centinaia di migliaia di euro all’anno, solo per un progetto pilota.

Lavoriamo comunque tutti insieme, semplici genitori ognuno con le sue competenze, senza perderci d’animo, con la voglia e la necessità di arrivare al traguardo presto, per i nostri figli e per i figli di persone che verranno.

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