Maternità e fragilità in scena con "Ariel" al Teatro Sociale di Novafeltria
Sabato 8 febbraio alle 21, in scena Isadora Angelini e Luca Serrani

In scena sabato 8 febbraio, ore 21 al Teatro Sociale di Novafeltria, Isadora Angelini e Luca Serrani accompagnati dai giovani performer Martina Raggini, Alida Mancini e Simone Silvestri, con le musiche composte ed eseguite dal vivo da Davide Tura al pianoforte e synth, e Ulyana Skorplyas al violoncello con alcuni arrangiamenti da Purcell, Bach e brani contemporanei.
Il lavoro – che ha debuttato a Rimini lo scorso otto marzo e ha poi replicato in festival estivi – viene ripreso in una versione speciale per la Stagione Respiro del Teatro Sociale di Novafeltria, in una serie di appuntamenti site-speicfic che vedono la platea svuotata dalle poltrone per un incontro circolare e ravvicinato fra chi è in scena e il pubblico.
Ariel, nasce da alcune potenti suggestioni che pensano “il corpo come materia vivente” e la “sfera del nascere” come sigillo della complicità delle donne con la natura. Raccoglie una costellazione di immagini raccolte dall’autrice, Isadora Angelini, attorno alle esperienze della maternità, della fragilità, della violenza ostetrica. La scena teatrale accoglie le immagini creandole, là dove la lingua del corpo è intensa, dove la voce cerca la musicalità della lingua materna.
Racconta l’autrice: “Ariel è la terza parte di un mio viaggio dentro i lavori di tre donne scrittrici. Dopo tre lavori a partire dalle opere di Agota Kristof e il lavoro su Emily Dickinson, con questo spettacolo omaggio l’opera di un’altra enorme poeta, Sylvia Plath. L’idea è nata durante una sessione fotografica con la fotografa Elisabetta Zavoli, in cui ho riaperto la porta a questa poeta che studio da quando ho vissuto in California, ormai ventisette anni fa.
Lo studio si è mescolato alla mia esperienza nel campo della violenza ostetrica, avendo negli anni abitato per vari motivi il reparto di maternità, che è anche (sempre) reparto di ostetricia e ginecologia, che per tanti versi è lontano parente dei reparti psichiatrici che Sylvia Plath ha abitato a sua volta e dove storicamente molte, moltissime donne sono finite in conseguenza di fatti legati agli altri due reparti (ostetricia e ginecologia appunto).
Questa volta anche i lavori di altre scrittrici (filosofe femministe e poete) hanno contribuito al nascere della scrittura di scena e sono io l’autrice del testo, che contiene comunque diversi frammenti da Plath.
La scrittura di scena è nata dalla suggestione di una donna in stato euforico in seguito ad una anestesia, la cui mente galoppa raccogliendo voci, memorie e sogni (la mente che galoppa è letteralmente la libertà della scrittura di Sylvia Plath che scriveva prima dell’alba per poi dedicarsi ai figli). Plath dedica pagine tragiche e insieme profondamente ironiche alle sue compagne d’ospedale di vari reparti. Per me il punto di partenza per riscrivere voci e suggestioni che mi sono rimaste impresse nell’anima dalle mie personali notti di veglia e di attesa.
Plath ha inoltre scritto alcune poesie dedicate all’indicibile meraviglia della nascita e insieme al libro Donne che allattano cuccioli di lupo di Adriana Cavarero queste sono stato l’altro binario di cui volevo scrivere. Delicatissimo parlare di maternità in ambito femminista, ma come donna che lavora con due figli, specie in ambito artistico, ho sentito la necessità di interrogare questo tema immenso attraverso la scrittura di scena.
La performance ricrea la luce dell’aurora, luce che tenta di ricacciare indietro le tenebre. La protagonista torna al momento della cicatrice da cui si aprono stratificazioni. Le ombre di altre donne e delle loro storie, di guardiani notturni, infermieri abitano la soglia dell’alba e giocano tutte le parti, si fanno microcosmo dei viventi, dove i corpi cambiano, dialogano, si contengono ed entrano in relazione.Piume, squame, rami, mani, vasi sanguigni, rocce, che il corpo materno esperisce umanamente nella sua carne. Corpo – cosmo ad accogliere molteplici voci, sussurri di corridoio, canti alla soglia, versi, richiami e risa ad aprire la necessità dura che copre l’orizzonte”.
Il lavoro è una produzione Teatro Patalò – realizzato con il contributo del Comune di Rimini e della Regione E.R