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L'indiscreto: Rimini Calcio, finale da applausi. Alle elezioni? Io voto Leo Acori!

“Un buon marinaio si riconosce nella tempesta. Avanti tutta sino alla salvezza”. Se a Leo Acori, originario di Bastia Umbria, piccolo paese nell’entroterra umbra, avessero detto di travestirsi da mari...

A cura di Redazione
29 maggio 2016 10:15
L'indiscreto: Rimini Calcio, finale da applausi. Alle elezioni? Io voto Leo Acori! -
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“Un buon marinaio si riconosce nella tempesta. Avanti tutta sino alla salvezza”. Se a Leo Acori, originario di Bastia Umbria, piccolo paese nell’entroterra umbra, avessero detto di travestirsi da marinaio molto probabilmente sarebbe stato al gioco perché dopotutto Bastia Umbria, da ieri, è il paese dei liberi.Liberi perché ognuno di noi deve sentirsi di esserlo per seguire il suo credo, le sue idee, le sue intuizioni e la sua voglia di osare. Lo fece lui ritornando nella sua Rimini, sapendo che quanto di buono fatto vedere con Bellavista poteva magari macchiarsi, ma il richiamo della foresta, della giungla Rimini ha fatto sì che si immergesse in un mare dannatamente mosso e solo un buon marinaio come recitava la curva, poteva condurre la ciurma chiamata squadra alla salvezza. Nel calcio, come nella vita, c’è chi si trova davanti a porte che si spalancano e chi, invece, ci mette tempo a trovare la chiave per aprire quella giusta, Leo (lo chiamiamo così in maniera affettuosa) ha toccato le corde giuste, ha tastato il terreno e ha sondato quel che di buono in mezzo a tanto nero poteva facilmente dipingersi e colorarsi di mille colori. Ai tifosi sarebbe bastato semplicemente trovare la chiave giusta per condurre la squadra alla salvezza diretta ma lui, mai domo, ha lavorato sottotraccia, cercando di far emergere in ognuno dei suoi ragazzi quel bianco che rappresentava la speranza e quel rosso che racchiudeva il cuore:”Giochiamo per la città e per i tifosi”recitava il suo slogan. Qualcuno nello spogliatoio lo guardava perplesso ma poi tutti sintonizzati, sulla stessa frequenza, sulla stessa canzone: “Siamo solo noi!”.  Dal pallone al mattone, ma sempre con gli stessi concetti-base per arrivare al risultato: passione, affiatamento, gioco di squadra e quel“fare spogliatoio” che Leo ha sperimentato nella precedente vita biancorossa. Leonardo Acori non è uno che le manda a dire: o di qua o di là. Non è uno da mezze misure. Non gli piace nascondersi dietro a un dito. Usa la diplomazia in maniera diretta senza troppi giri di parole nel dopogara con l’Aquila; toccando il tasto societario e annunciando un quasi addio. Perché vi chiederete? Perché Leo comprende cosa significhi svegliarsi dopo una sbornia: idee confuse, malessere, depressione. Dopo un’ubriacatura di successi è molto complicato tornare alla realtà che lo aveva preceduto. Ma anche gli eroi invecchiano, i cicli finiscono e ripartire non è facile perché c’è sempre il confronto, immediato e diretto, con quello che era stato. E’ andata così nell’impresa definita da lui stesso quella più difficile e per questo più bella.

La società.“Ora, ovunque andiate, voi incantate il mondo”.Sarà sempre come oggi? Così nel libro di Oscar Wilde “Il ritratto di Dorian Gray”, lord Henry Wotton parla al giovane Dorian. Non riassumo la trama è abbastanza nota efa pensare al Rimini attuale perché ha qualcosa in comune: la fine della bellezza e della giovinezza. La fine della bellezza è cominciata prima che arrivasse Acori e lui incarna il tentativo di andare contro le rughe del tempo. Molti tifosi se n’erano accorti: bastava dare un’occhiata alla formazione e, poi, al campo rispetto alla precedente stagione. Ma la società non se n’è accorta oppure non ha voluto accorgersene: “La nostra rosa è di valore, potrebbe benissimo ambire anche a un posto play off”dissero a novembre alla presentazione di Brevi. Era uno stimolo per rinvigorire la truppa o un bluff? Nell’uno o nell’altro caso non ha funzionato. Nel frattempo il fiato delle trombe mediatiche ha portato il Rimini in alto e la dura realtà l’ha riportato velocemente in basso. Qual è per la squadra, il risultato della coabitazione? Un gran casino. Tra gli ingredienti della grande confusione è sempre stato presente il presidente con i suoi uomini di fiducia, ossia l’artefice del “distruggiamola” al quasi tracollo scongiurato dall’allenatore di casa, uno che conosce regole e protocolli, che doveva garantire serenità, punti e solidità.

La squadra. A un certo punto della stagione, lo schiaffo di Pontedera è servito per rimpiangere i tempi in cui della realtà si aveva una visione precisa, non deformata, i tempi in cui era da Rimini chi sudava e meritava la maglia, non chi aveva più tatuaggi e più followers, o un procuratore più abile nel piazzare il pacco. Il risveglio. Fuori le palle contro tutti e tutti. Rivoluzione all’interno dello spogliatoio, sciopero annunciato per via dei ritardi nei pagamenti poi rientrato. Affronto della trasferta di Prato grazie all’intervento dei tifosi ripagata con una vittoria all’inglese. Il dramma sportivo vissuto tra le mura amiche con la sconfitta contro l’ultima della classe Savona. Il ritiro in casa, pagato dai tifosi e fortemente voluto da Acori per affrontare nel migliore dei modi la trasferta e il derby di Santarcangelo, ripagato anche in questo caso con il successo esterno. I pareggi con Aquila ed Arezzo con tanto di contestazione della tifoseria in particolar modo a Mancino, protagonista sfortunato dagli undici metri con un rigore calciato malamente. Ma il calcio, come ricordavo una settimana fa nel precedente ed ultimo articolo, regala e toglie, Mancino contro l’Aquila dagli undici metri si è presentato senza nessuna esitazione trasformando il rigore che ha dato il via alla festaper poi chiuderla con un’altra sua prodezza: quale miglior cornice per concludere un campionato iniziato, proseguito e terminato tra mille difficoltà? Applausi a scena aperta per tutti, per la professionalità mostrata e la concentrazione e stimoli trovati in mezzo a un caos che definirlo così appare un complimento.

La tifoseria.Una colletta organizzata per sostenere il finale di stagione del club tanto amato vale più di mille parole. Un cartoncino, un foglio, chiamatelo come vi pare buttato lì con nonchalance fa sempre il suo effetto se sotto il nome c’è scritto Rimini. Che tipo di imprenditore o di quale azienda conta relativamente, fondamentale è il titolo.  Ci sono poi persone che per modestia o per distrazione potrebbero vantare una qualifica pesante ma non vanno dal tipografo e rinunciano in partenza a un carico da mettere sul tavolo. I tifosi su quel cartoncino potrebbero scrivere: “Vivo del Rimini” e nessuno avrebbe da obiettare. Ma loro della pubblicità se ne fregano, non hanno avuto bisogno di farsela nei momenti di difficoltà e nemmeno avranno bisogno di farsela in futuro perché rispetto a tutti hanno usato la concretezza mettendoci soldi, passione e tempo.  Quello striscione, l’ennesimo esposto dalla curva, parla da solo, si potrebbe racchiudere in una sigla:”FRS” tradotto: “Forza Rimini sempre” magari un giorno diventerà popolare quanto la sigla del campione portoghese Cristiano Ronaldo (CR7) ma mai nessuno si dimenticherà di questa impresa perché in loro assenza vale sempre un detto veneto:  “pezo el tacon del bus”o, peggio il rammendo dello strappo, e di quanti rammendi abbia avuto il Rimini s’è perso il conto.

Daniele Manuelli

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