di Monia Sebastiani
Nessuno sarà lasciato solo. Nessuno rimarrà indietro.
Ce le ricordiamo bene queste parole. Le parole con cui il Presidente Conte, ormai due mesi e mezzo fa, all’inizio di quella che sarebbe diventata una lunga quarantena, rassicurava gli italiani.
Italiani che ci credevano. Perché non si poteva fare altrimenti, in un momento in cui le incertezze e le paure cominciavano a prendere il sopravvento e l’isolamento minava la stabilità emotiva di molti.
Iniziava la fase uno. Iniziava lo #stateacasa. E, mentre per molti questo ha voluto dire iniziare Yoga, fare workout, imparare a fare dolci e pane, giardinaggio, bricolage o cucito, per molti altri ha significato perdere il lavoro. Perdere la casa. E, se il resto del mondo si preoccupava di non ingrassare o di non poter fare la piega ai capelli, alcuni, molti, iniziavano a fare quadrare i conti per fare la spesa. Per acquistare medicinali o beni di prima necessità.
Diversi settori, che già prima dell’inizio dell’emergenza sanitaria godevano di poche tutele, si ritrovano a dover fronteggiare una situazione che sembra non avere vie d’uscita.
I lavoratori/trici dello spettacolo, che non vedono uno stipendio da quando è stato proclamato il lockdown e hanno forme contrattuali che non garantiscono l’accesso a tutele e sostegni .
Insegnanti precari, che spesso hanno contratti di collaborazione che non permettono loro di accedere al famoso bonus di 600 euro.
Lavoratori/trici del sociale, dipendenti delle coop. che gestiscono servizi socio-educativi e socio-assistenziali che si sono visti tagliare le già minime tutele che la politica dell’esternalizzazione dei servizi pubblici di questi decenni ha ridotto all’osso.
Lavoratori impiegati in settori ritenuti essenziali, come quello della logistica, che si sono dovuti battere per non vedere calpestato il loro diritto alla salute.
E ancora, badanti, colf, cuochi, camerieri e tutti coloro che erano impiegati nel settore turistico e si sono ritrovati senza lavoro dall’oggi al domani.
Per tutte queste persone l’emergenza sanitaria si è intrecciata a quella sociale. E’ chiaro che pagare un canone di locazione diventa, per la maggioranza di loro, impossibile.
In primo luogo perché già allo stato naturale delle cose l’affitto incide gravosamente sulla spesa delle famiglie (si stima che corrisponda a un 70% -80 %) e poi perché le morosità si sono accumulate in maniera inversamente proporzionale alle entrate di molti individui.
Abbiamo avuto la possibilità di parlare con Federica Montebelli, di ADL Cobas Emilia Romagna, sindacato auto organizzato per la tutela del diritto al lavoro e all’abitare, che ci ha fornito un quadro più chiaro della situazione delle nostra regione.
Con lei Azzurra e Roberto, attivisti di Casa Madiba Network, che hanno costruito una rete fittissima di solidarietà, in cui le maglie, fatte di vestiti, scarpe, alimenti e prodotti per l’igiene personale, sono cucite assieme da un sistema di mutualismo in cui non solo si riceve, ma si dona. E in tanti hanno partecipato, talmente in tanti che è bello pensare di poter ripartire da qui, per accendere un futuro migliore. Per tutti.
Telefono emergenze 371 4427310
Sportello ADL Cobas – sezione CASA 320 1143966