Caso Paragon, giornalisti spiati: accertamenti sui cellulari disposti dalla Procura di Roma
Nel mirino anche il fondatore di Dagospia Roberto D’Agostino e attivisti della Ong Mediterranea

Nuovi sviluppi nell’inchiesta sul caso Paragon, il presunto utilizzo illecito di software spia da parte di ignoti in Italia. La Procura di Roma ha disposto accertamenti tecnici irripetibili sui telefoni cellulari di sette persone, considerate parti lese nell’indagine. Tra queste figurano Roberto D’Agostino, fondatore del sito Dagospia, tre giornalisti della stessa testata e tre attivisti della ONG Mediterranea Saving Humans, tra cui Luca Casarini.
L’indagine, attualmente contro ignoti, ipotizza una serie di reati gravi: accesso abusivo a sistemi informatici, interruzione o impedimento illecito di comunicazioni telefoniche, installazione abusiva di apparecchiature atte a intercettare comunicazioni e altri reati informatici.
La vicenda ruota attorno all’uso presunto di tecnologie di sorveglianza digitale fornite dalla società Paragon Solutions, azienda israeliana che – secondo una nota ufficiale – avrebbe già interrotto i rapporti con l’Italia.
Il caso sta sollevando un ampio dibattito politico. In una nota pubblicata da Dagospia, il sito commenta con amara ironia: “È un’Italia all’olio di ricino”. Più esplicito il leader di Italia Viva Matteo Renzi, che definisce la vicenda “un fatto gravissimo”. Duro anche il commento del Partito Democratico, che chiede al governo: “Dica chi spiava”.
Paragon, da parte sua, risponde con distacco: “Giornalisti spiati? Chiedere al governo”.
Le indagini proseguono per fare luce su una vicenda che potrebbe avere implicazioni rilevanti in termini di libertà di stampa, diritti civili e sicurezza delle comunicazioni.