Dalla Pigna a Ridracoli: il lungo viaggio dell’acqua che disseta Rimini
L’idea rivoluzionaria: portare l’acqua dagli Appennini in città

Di Mary Cianciaruso
C’era un tempo in cui per dissetarsi a Rimini bisognava mettersi in fila con una brocca sotto braccio, sotto il sole d’estate o la pioggia d’autunno. Al centro di Piazza Cavour, la Fontana della Pigna zampillava acqua limpida fin dai tempi dei Romani, e per secoli fu l’unica vera “rete idrica” della città. Chi voleva bere, cucinare o lavarsi, doveva passare da lì. E ogni giorno, quella fontana diventava teatro di incontri, chiacchiere, pettegolezzi. Si dice che anche Leonardo da Vinci, in visita nel 1502, la osservò con interesse e annotò sul suo taccuino: «di bella maniera è questa fontana».
Fondata nel 268 a.C. come colonia romana, Rimini sembrava un luogo ricco d’acqua: il Marecchia, l’Adriatico, le paludi e i canali. Ma l’apparenza ingannava. Le acque dolci erano scarse e instabili. Nel Medioevo si scavavano pozzi nel tufo, ma spesso l’acqua era salmastra. Le epidemie di tifo e colera erano frequenti, e in parte dovute proprio alla contaminazione dell’acqua. Nel 1855 un'epidemia di colera decimò la popolazione, portando il tema dell'acqua potabile al centro delle preoccupazioni civili.
Dall’acquedotto cittadino all’ “Autostrada dell’acqua”
Fu solo nei primi del Novecento che si concretizzò l’idea di un acquedotto pubblico. Dopo anni di progetti, nel 1912 si inaugurò il primo sistema moderno di distribuzione, alimentato da sorgenti nell’entroterra. Le cronache raccontano di una città in festa: il giorno dell’inaugurazione, bande musicali e scolaresche accompagnarono le autorità lungo il percorso dei primi tubi posati. Ma il sistema era fragile, e già negli anni ’30 si manifestarono carenze nei mesi estivi, quando le colonie marine cominciavano a riempirsi di bambini da tutta Italia. Con il boom economico e l'esplosione del turismo balneare, Rimini conobbe una rivoluzione. Alberghi a pieno regime, famiglie in villeggiatura, file di docce sulla spiaggia: l’acqua cominciò a scarseggiare. L’estate del 1967 fu un incubo: razionamenti, autobotti, proteste. In quelle settimane nacque l’idea visionaria di portare l’acqua da molto più lontano, dagli Appennini.

Ridracoli: miracolo ingegneristico
Nel 1974 partì la progettazione della diga di Ridracoli, immersa nel Parco delle Foreste Casentinesi. Quando l’opera fu completata nel 1988, si parlò di un “miracolo ingegneristico”: 103 metri di altezza, una capacità di 33 milioni di metri cubi, collegata a una rete di condotte lunga 130 km. Si tratta della più importante opera pubblica realizzata in Romagna nel XX secolo, viene inaugurata nel 1982. Dopo alcuni ulteriori anni di lavoro, nel 1988 inizia il suo funzionamento l'Acquedotto della Romagna, risolvendo definitivamente un annoso problema di fabbisogno idrico protrattosi per decenni. Una vera “autostrada dell’acqua”, come fu ribattezzata dai giornali dell’epoca.
Un aneddoto curioso: per testare la portata delle tubature nei primi collaudi, i tecnici usarono palloni gonfiabili colorati, facendoli viaggiare lungo i canali di servizio per verificarne i tempi di percorrenza. Un modo insolito per misurare l’efficienza, ma efficace.
Oggi Romagna Acque gestisce un sistema sofisticato, orientato alla sostenibilità. La società, nata dal Consorzio Acque negli anni novanta, diventò proprietaria di tutte le fonti locali che contribuiscono a costituire la rete idropotabile romagnola acquisendo la denominazione attuale, Romagna Acque-Società delle Fonti. Ogni bicchiere d’acqua a Rimini è il frutto di una lunga storia, che parte dalle cisterne romane, fino alle gallerie sotterranee della diga.