Dopo la laurea la nonna le regala una mucca. Ora Debora gestisce un agriturismo preso d'assalto dai turisti
La giovane imprenditrice che in Alta Valmarecchia ha sfidato lo spopolamento

di Riccardo Giannini
Spopolamento e carenza dei servizi sono due temi di stretta attualità nel dibattito sullo stato di salute dell’Alta Valmarecchia. C’è però anche un paradosso. Chi vive immerso nella dimensione cittadina, cerca di ritagliarsi delle pause in territori in cui riscoprire lo stretto contatto con la natura. Delle “pause slow” per riscoprire le abitudini perse in un’esistenza iper-cinetica e stressante. E che è dunque interessato a scoprire e a visitare questi territori.
L’esempio illuminante è quello di Debora Peruzzi, 33enne imprenditrice di Rosciano di Sant’Agata Feltria, che assieme alla sua famiglia e al compagno Nicholas Piscaglia, 37 anni, gestisce un’azienda agricola che porta il suo stesso nome, con tanto di agriturismo e fattoria didattica: “Abbiamo clienti da tutta la Riviera: da Ravenna fino a Cattolica. La domenica o per l’intero weekend. Ma c’è anche gente che parte dalla Lombardia e dal Lazio per venire qui: i social ci hanno aiutato ad ampliare la clientela“.
In sostanza quando un territorio rurale offre servizi centrati sul giusto target, può sopravvivere allo spopolamento e non solo: ma anche creare opportunità di lavoro. Il turismo slow è una risorsa preziosa, assieme al cicloturismo.
Certo l’impegno da solo degli attori del territorio non basta: “Servirebbe una mano dai piani alti, che iniziassero a tutelare anche queste zone rurali“, spiega Debora, che ha fatto una scelta di vita significativa e in contro-tendenza: seppur laureata in giurisprudenza, ha rinunciato alle sirene della città per rimanere a Rosciano, piccolo borgo in cui vivono solamente tre famiglie.
L’azienda agricola di famiglia è stata aperta nel 2003, Debora nel 2009 ha iniziato a lavorare come coltivatrice diretta, nel contempo ha avviato e proseguito gli studi universitari: “Siamo tra generazioni di contadini, ma volevo conseguire una laurea, era il desiderio anche dei miei genitori. Studiavo a Ravenna, ho abitato laggiù il primo anno, ma il cuore mi riportava a casa, quindi negli anni successivi ho fatto su e giù. Ho fatto il tirocinio, ho fatto qualche lavoretto. Nel 2014, prima di laurearmi, ho fatto un po’ il punto della situazione, assieme al mio compagno, e abbiamo capito che volevamo restare qui“.

La nonna ha compreso il desiderio della nipote e per la tesi le ha regalato una mucca da latte: “Ci mancavano i formaggi. Così è partita anche quest’altra attività”.
La vita di campagna certamente non è tutta rosa e fiori. Non per le distanze: “Infatti non siamo sperduti, siamo a mezz’ora di auto da Cesena e da Novafeltria, un’ora da Rimini”. “Ma qui non c’è niente, o meglio, c’è tutto se ti piace la natura“. E le cose da fare sono tantissime: “Di braccia in più ne servirebbero, ma riusciamo a gestire. Abbiamo trovato i nostri equilibri: se pensassimo al guadagno in senso stretto, si potrebbero fare tante cose di più, anche ad esempio tagliare più legna da vendere, aumentare l’attività di ristorazione. Ma noi non vogliamo creare un impero agricolo, semplicemente vogliamo ricercare la qualità della vita. E dopo essere diventati genitori, le nostre convinzioni si sono rafforzate”.
Fare il contadino “non è solo mangiare e respirare aria buona”: c’è un lavoro notevole. “In un anno, se vogliamo fare 4-5 giorni di ferie, serve qualcuno che ci sostituisca nella cura degli animali”.
È una vocazione, ma i sacrifici vengono ripagati proprio da quella qualità della vita che invece sfugge nella città, alle prese con sovrappopolazione e inquinamento. Anche l’alimentazione è un fattore significativo:“Produciamo carni, formaggi, abbiamo una vigna che è sufficiente a produrre il vino a uso nostro. Siamo totalmente autosufficienti”.
Tutto prodotto a km 0, senza processi industriali. I riminesi – e non solo – dimostrano di aver voglia di riscoprire le tradizioni della tavola e ambienti incontaminati. L’esempio di Debora e Nicolas potrebbe e dovrebbe essere incoraggiante: l’Alta Valmarecchia è un territorio che può offrire servizi e frenare lo spopolamento, senza piegarsi eccessivamente a logiche “industriali”. Per la politica è un ulteriore spunto di riflessione.