Altarimini

Rimini: il Centro di Salute mentale alle prese con l'emergenza coronavirus

La dottoressa Alice Sanniti racconta in che modo la sua equipe continua a dare supporto ai propri pazienti

A cura di Redazione
02 maggio 2020 04:29
Rimini: il Centro di Salute mentale alle prese con l'emergenza coronavirus -
Condividi

Di Monia Sebastiani

C’è il virus fisico. Che, con la sua evidenza, si è violentemente preso gli spazi delle nostre città. Ha occupato le pagine dei giornali. Le immagini del Tg. e i cartelloni pubblicitari, costringendo gli addetti al marketing ad un immane lavoro di ridefinizione del pensiero collettivo, che va orientato alla divisione, all’isolamento, ma anche all’ottimismo e al consumo.
Il virus dei decreti che cambiano repentini e dei meme che, almeno quelli, ci fanno sorridere. Dei sindaci sceriffi. Delle dirette social. Del workout, del time out, dello yoga nei monolocali e del prosecco dai balconi.
Il virus che spinge a vivere una vita che sembra sospesa.
Il virus che, oltre alle vite, ha sospeso persino il campionato, riuscendo là dove crolli, morti e guerriglie (da stadio) non avevano potuto. Stadi vuoti e giocatori che, annoiati, palleggiano con la carta igienica.
Non se la prendano gli americani, che di rotoli non ne vedono più dall’inizio della Pandemia.
Virus carogna, di corpi rinchiusi in tute da astronauta che lavorano, instancabili e coraggiosi, per salvare altri corpi.  Di mascherine che coprono sorrisi e occhi che parlano per rassicurare.
Virus di numeri che giocano al rialzo e di bollettini delle 18.00 che sanno di guerra.
Di bare in fila su strade deserte e dell’esercito che le porta via. Senza fiori. E senza nessuno che può piangerci sopra.
C’è lui. Il Virus con la V maiuscola.
E poi ci sono le altre malattie, relegate a ruolo di seconde della classe.
Codici verdi in attesa di cure.
Perché il Corona Virus ci ha portato via anche il diritto di star male.
Ha monopolizzato i letti e le sale d’ospedale, sfiancato il personale sanitario, imposto alle strutture un ripensamento degli spazi che non sembravano non bastare mai.
Tutto questo ha comportato l’insorgere di un‘emergenza nell’emergenza.
I malati che non rispondevano a criteri d’urgenza sono stati messi in una sorta di stand by a tempo indefinito. Ritrovandosi a combattere le loro battaglie, rese più dure dallo stato di ansia e paura che dilaga in questo periodo, senza armatura .
Tra le patologie “in quarantena” rientrano tutte quelle che attengono alla sfera psichica, emotiva e comportamentale .
I pazienti che ne sono afflitti sono persone fragili talvolta non autosufficienti e, spesso, legati in maniera viscerale alla routine.
La psicoterapia individuale, la terapia di gruppo, i colloqui con lo psichiatra, sono impegni che, al di là della funzione terapeutica, rappresentano un impegno fisso, che spinge persone con serie difficoltà relazionali e comportamentali a misurarsi con l’esterno e a mantenere quell’abitudinarietà che diventa una zona comfort, una sorta di tana sicura in cui rifugiarsi.
Tra gli “invisibili” del Covid 19 ci sono quelli che hanno un problema legato al disturbo del comportamento alimentare.
Un tempo erano anoressia e bulimia. Oggi, i DCA, si sono evoluti in tanti micro gruppi, che pur avendo caratteristiche simili tra loro, presentano un decorso clinico così variegato e complesso da non poter essere accomunati.
L’errore più usuale è quello di ritenere “malato” solo chi presenta una palese condizione di eccessiva magrezza. Gli altri disturbi passano spesso inosservati, perché manca l’evidenza di quel corpo scheletrico che sbatte in faccia al mondo la malattia per chiedere aiuto.
Il fatto che siano in “incognito” non li rende, per questo, meno gravi.
Binge Eating (disturbo da alimentazione incontrollata), Obesità, Ortoressia (spasmodica ricerca di cibo sano e attività fisica esagerata), Bigoressia (o anoressia riversa, ossessiva preoccupazione per la propria massa muscolare) sono patologie invalidanti, che condannano chi ne soffre a una Non Vita.
Sottovalutati per decenni e bollati spesso come fissazioni “ i DCA rappresentano un pericolo serio per chi ne soffre e, se non trattati in tempi e modi adeguati, possono cronicizzarsi e compromettere seriamente la salute di tutti gli organi e apparati del corpo (cardiovascolare, gastrointestinale, endocrino, ematologico, scheletrico, sistema nervoso centrale, dermatologico ecc.) e, nei casi gravi, condurre alla morte.” (Fonte Ministero della Salute)
In Italia si stima che più di tre milioni di persone soffrano di disturbi dell’alimentazione. Tra questi una buona fetta, circa il 96%, riguarda le donne, mentre i casi tra gli uomini sono intorno al 4%. (Fonte Ordine dei farmacisti della provincia di Roma)

Abbiamo parlato con la dott.ssa Alice Sanniti, del Centro di Salute Mentale di RiminiAUSL Romagna, che si occupa della presa in carico e trattamento delle persone con disturbi alimentari, che ci ha parlato del lavoro svolto dalla sua equipe e ci ha fornito una panoramica della situazione in Romagna, ponendo l’accento sulla crisi che si sono trovati a fronteggiare a causa dell’insorgere del Corona Virus.
Il team DCA adulti di Rimini è composto da: la psichiatra referente dr.ssa Olivieri Myriam, la nutrizionista dr.ssa Giorgia Marconi, le dietiste Catia Silighini e Patrizia Rosa, le psicoterapeute Alice Sanniti, Giulia Tangerini, Michela Pratelli, Annalisa Valeri. Nei ruoli di supervisione e coordinamento: la coordinatrice del percorso dr.ssa Augusta Barbieri e il primario dr.ssa Daniela Ghigi.

Dottoressa chi è il malato di DCA? Come si arriva a un’azione così contro natura come smettere di nutrirsi? 
Per anni si sono cercati capri espiatori: il settore della moda prima, i media ed, oggi, i social network. Penso a Instagram che diffonde, spesso, modelli inarrivabili o, addirittura, fotografie ritoccate. Ma anche a tutti quei siti pro anoressia che spingono verso comportamenti lesivi come il digiuno o le condotte di compensazione come vomito o lassativi. Non crede sia, però, riduttivo voler ricondurre problematiche tanto complesse alla semplice emulazione? 

– Certamente capire come e perché si sviluppano disturbi complessi come l'anoressia nervosa o la bulimia nervosa è molto complicato, in quanto le cause sono molteplici e, almeno in parte, diverse da persona a persona. Attualmente gli studiosi sono concordi nel ritenere il modello multifattoriale il più idoneo a spiegare l'insorgenza dei disturbi dell'alimentazione, in un'ottica bio-psico-sociale. Vi sono nella fattispecie tre tipi di fattori di rischio che agiscono in modo consecutivo: i primi sono quelli predisponenti e possono essere genetici, psicologici o ambientali e aumentano la vulnerabilità di una persona a sviluppare il disturbo alimentare; i secondi fattori sono quelli precipitanti e consistono in eventi o situazioni che scatenano l'insorgenza del disturbo (un evento chiave in tal senso è cominciare una dieta restrittiva); infine ci sono i cosiddetti fattori di mantenimento che impediscono il ritorno alla normalità e che costituiscono quel "circolo vizioso" di prosecuzione della malattia, che deve essere affrontato con terapie specifiche (ad esempio i rinforzi positivi che provengono dall'esterno e la sindrome da malnutrizione che tiene inchiodati nel disturbo alimentare).
Da quanto detto si evince che in un disturbo alimentare il problema con il cibo è solo la "punta dell'iceberg": ci sono più profonde questioni relative a identità, emozioni, convinzioni  e valori.

– In che modo si articola e quanto dura il percorso? Che percentuale di guarigione riscontrate?

– Il medico di medicina generale è il primo attivatore del percorso ed effettua una valutazione sulla base dell'età dell'utente e dei criteri diagnostici con cui si accede al percorso, dopodiché la prima visita viene effettuata dalla psichiatra referente per i DCA, con successivo invio alla psicologa dell'equipe per una valutazione psicodiagnostica e alle colleghe dell'area "soma" per una visita dietologica ed un approfondimento internistico/nutrizionistico. Il trattamento prevede quindi un primo assessment valutativo multidisciplinare dopodiché, una volta conclusa la fase valutativa, con conferma di diagnosi DCA e rispettati i criteri di inclusione, gli operatori dell'area psicologica/psichiatrica, in accordo con i colleghi della parte "soma", definiscono un progetto terapeutico personalizzato multidisciplinare che prevede la prosecuzione di tutti i percorsi in parallelo.
All'interno della presa in carico, il trattamento ambulatoriale rimane il punto centrale dell'intervento, includendo: gli interventi motivazionali, la gestione psicofarmacologica, la psicoeducazione, la psicoterapia, la riabilitazione nutrizionale e la gestione internistica, il supporto e la psicoeducazione rivolta ai familiari e, in alcuni casi accuratamente selezionati, la psicoterapia familiare.
La guarigione è sicuramente un tema complesso perché guarire è un processo in evoluzione, non c'è un meccanismo "on/off" che delinea un preciso momento di fuoriuscita da un disturbo così complesso. Guarire in questi casi significa imparare a prendersi cura di sè in modo nuovo, accettando gradualmente la propria immagine corporea, riducendo significativamente i comportamenti alimentari disfunzionali, normalizzando il peso corporeo con recupero spontaneo delle normali funzioni biologiche. Nel medio-lungo termine, guarire significa continuare a non abbassare la guardia su tutta una serie di meccanismi disfunzionali che a volte possono anche riattivarsi dopo essere stati "sopiti" a lungo.
Se la si ragiona in questo modo, posso certamente affermare che una buona percentuale delle persone con disturbo alimentare seguite dal nostro centro nel tempo è riuscita ad uscire dalla trappola del disturbo. Sicuramente è centrale la precocità dell'intervento terapeutico che può far cambiare in modo drastico le percentuali di guarigione.

–  Di quale target, se ce n’è uno, vi occupate?

– Il nostro target è costituito da utenti con età compresa tra i 18 e i 40 anni che presentino un Disturbo Alimentare conclamato: Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e Disturbi del Comportamento Alimentare non altrimenti specificati (ovvero i disturbi alimentari non inquadrabili nei due precedenti e che causano disagio clinicamente significativo e/o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti).

– In che modo la situazione di emergenza e la conseguente quarantena, hanno inciso sul lavoro che portate avanti ?

– La situazione di emergenza ha sicuramente inciso sul nostro modo di lavorare, costringendoci a riorganizzare i nostri percorsi e ad adattarli alla nuova realtà.
Il Dipartimento di Salute Mentale, come altri servizi, ha dovuto conciliare due rischi, quello infettivo (relativo alla salute personale e a quella pubblica) e quello legato alla salute mentale (prevalentemente personale). La priorità dell'uno o dell'altro rischio è stata doverosamente valutata per ogni situazione individuale con lo scopo di garantire la necessaria prevenzione generale alla diffusione del Covid-19 e consentendo allo stesso tempo di mantenere gli interventi necessari in termini di tutela della salute mentale. C'è stata quindi una riprogrammazione totale delle attività.
Sono stati interrotti i percorsi di tipo gruppale che costituiscono il cuore dell'intervento psicoterapeutico rivolto agli utenti con DCA seguiti dal nostro servizio e, in alternativa, è stato loro proposto un sostegno psicologico individualizzato attraverso un costante monitoraggio telefonico per lo più a cadenza settimanale, realizzato sia in modalità smart working che presso il nostro servizio.
In questo setting decisamente diverso dal solito, abbiamo cercato di tener fermi gli obiettivi fondamentali dei nostri percorsi di gruppo, calandoli in una cornice individuale e quindi personalizzandoli ad hoc: favorire l'acquisizione di un reale senso di padronanza sull'alimentazione e di un pattern alimentare sano, incrementare modalità di pensiero più funzionale ed efficace rispetto al raggiungimento degli obiettivi di vita personali, promuovere un miglioramento della sfera relazionale e affettiva, incoraggiare un aumento delle attività piacevoli e della capacità di autogratificarsi con modalità diverse dal cibo.
Nel caso, invece, di interventi non procrastinabili, le visite sono state programmate nell'assoluto rispetto delle condotte di prevenzione del Covid-19.

– E che tipo di risposta avete avuto?

– Una buona risposta: la sensazione generale è che i nostri utenti si siano sentiti pensati e non abbandonati in un periodo così faticoso e disorientante.  Mantenere una continuità della presa in carico, riorganizzando il lavoro attraverso nuove modalità, è stata e continua ad essere tuttora una sfida impegnativa ma necessaria ed anche stimolante.

– Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, si può dire che questo lungo periodo di pausa forzata ci servisse per ricalibrare un po’ le nostre priorità. Per dedicare del tempo alle nostre passioni o, anche, soltanto, per riposare. Per i pazienti che seguite questo periodo di isolamento e stop è stato dannoso o, al contrario, pensa che possa aver giovato loro che il mondo rallentasse un po’?

– Sicuramente imparare a vedere il bicchiere mezzo pieno è una forma mentis vincente che tanto spesso cerchiamo di incoraggiare anche nei nostri assistiti ed è un atteggiamento fondamentale per trasformare le situazioni critiche, come quella che stiamo affrontando, in opportunità di consapevolezza e cambiamento.
In quest’ ottica devo dire che mi è capitato frequentemente in questo periodo di essere colpita dalla capacità di molti utenti di attivare dal loro repertorio strategie efficaci di tolleranza della sofferenza emotiva e risoluzione funzionale dei problemi. 
Posso sicuramente affermare che per diversi di loro questo isolamento si sta traducendo in un momento di acuita consapevolezza e crescita personale. In altri casi, invece, ha reso più forte il disagio psicologico, con rischio di peggioramento della gravità del disturbo e reso più netta la sensazione di perdita di controllo che nei disturbi alimentari si riversa sul peso, sul cibo e sull'aspetto corporeo attraverso la dieta e l'esercizio fisico.
Stare a casa senza particolari impegni sicuramente può fare avvicinare pericolosamente le persone con tali patologie alla dispensa e al frigo, favorendo la perdita di controllo (abbuffate). Non poter fare più lunghe camminate, spesso utilizzate  per compensare l'introito calorico, può farle sentire senza via di scampo. La forzata e protratta convivenza con i familiari può accentuare le difficoltà interpersonali che possono contribuire al mantenimento della psicopatologia del disturbo dell' alimentazione. In più l'isolamento sociale può creare un ostacolo importante al miglioramento del funzionamento relazionale, centrando ancor di più la persona con disturbo alimentare su una eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del loro controllo. 
Ed ecco quindi che in un momento in cui la noia, la percezione d’immobilità e l'ansia stanno investendo in maniera sempre più importante le persone, fornire supporto a distanza ai nostri utenti è fondamentale per far sì che l'isolamento non diventi una trappola micidiale.

– Entreremo, anche se in punta di piedi, nella fase 2. Ci sono previsioni in merito alla data di inizio delle attività ambulatoriali del centro per la cura dei DCA

– Al momento siamo in attesa di ricevere direttive aziendali, che faranno chiarezza in merito agli strumenti da poter utilizzare per favorire la continuità assistenziale e permetterci, laddove possibile, di riattivare percorsi clinici di tipo gruppale che sono stati interrotti in ottemperanza ai decreti governativi adottati per limitare al massimo la diffusione del Covid-19. Verosimilmente una strada percorribile sarà quella di avviare l'utilizzo di piattaforme di videoconferenza che potrebbero consentirci di riattivare i nostri trattamenti specialistici gruppali in tutta sicurezza.

Le migliori notizie, ogni giorno, via e-mail

Altarimini sui social