Benatti: ‘I ladri in casa il primo giorno, ma con Rimini è stato subito amore’. Ora fa il coach giovanile

‘Gamba e Pasini i coach top. Il Topone faceva volare la Marr. La caduta in B: litigai di brutto con Cardaioli’

Maurizio Benatti con la maglia dell'Onestà Milano e della Marr Rimini

E’ stato uno dei giocatori più significativi dell’epopea del Basket Rimini: otto stagioni – dal 1982 al 1990 – con la canotta biancorossa tra A2 e A1 fino al punto più alto dei quarti di finale dei playoff scudetto (ko 2-0 contro la Simac Milano) e infine l’epilogo drammatico della retrocessione in serie B nello spareggio di Treviso contro la Braga Cremona.

Parliamo di Maurizio Benatti, il play scuola Olimpia Milano dove si forgiò alla scuola del mitico Iellini, uno dei big nel ruolo di regista al pari di Marzorati, Ossola, Caglieris, suo compagno di squadra all’Auxilium Torino per due stagioni. Cioè il meglio in quel ruolo nella storia della palla a spicchi tricolore. Proprio quella concorrenza di assoluto valore impedì all’asso nativo di Mantova (è nato l’1 aprile del 1955) la gioia della Nazionale senior. Ma la sua scheda è di tutto rispetto: quando si chiuderà il ciclo riminese saranno più di 500 le presenze in serie A.

“Sportivamente quella di Cremona è stata la giornata più brutta della mia carriera sportiva, a fine partita persi la testa e a coach Ezio Cardaioli ne dissi di tutti i colori nello spogliatoio. Lo incolpai a brutto muso: negli ultimi minuti tenne in panchina sia me sia Ferro. E pensare che la partita l’avevamo raddrizzata. Non tornai in pullman con la squadra, ma in auto coi dirigenti” racconta l’ex play biancorosso che a Rimini da quella estate calda del 1982 non levò più le tende. Eppure il suo approccio col Basket Rimini non fu dei migliori.

Maurizio Benatti, che successe?

“Rientrai nella trattativa per il passaggio di Vecchiato a Torino. Diedi l’ok, presi appuntamento con Gian Mario Carasso a Rimini per intavolare la trattativa. Arrivai in treno in stazione. Lui era al lavoro in banca e mi rimandò l’incontro al tardo pomeriggio, a suo dire avrei dovuto aspettarlo in un albergo. Non la presi bene per niente. Ma come, mi faccio un viaggio di quattro ore, e non c’è nessuno a prendermi? Risalii sul treno e tornai a casa. Era il mese di maggio”.

E poi?

“Il 31 luglio chiudeva il mercato e in quel periodo tornai: c’erano tutti i dirigenti. Trattammo per tutto il pomeriggio fino a quando a mezzanotte firmai il contratto. La valutazione di Vecchiato era di 700 milioni, la mia sua 300: io credo che alla fine circa 400 il Basket Rimini li abbia portati a casa. Gian Maria Carasso è stato un grande appassionato, un dirigente competente, sapeva far quadrare i conti e assieme a tutti gli altri dirigenti coinvolgere la gente. Di Gian Maria, del dottor Enzo Corbari, di Corrado Sberlati ho ricordi straordinari. Il patron quando si vinceva al lunedì ci faceva trovare in sede una ricca confezione di fiorentine”.

Come fu l’impatto con la città?

 “A parte il gran caldo, il primo giorno in cui misi piede nella casa che mi fu assegnata in via Centauro, andai a fare una passeggiata al mare con mia moglie Loredana. Al ritorno trovai l’appartamento a soqquadro: avevo ricevuto la visita dei ladri. Sparì qualche gioiello di mia moglie, la macchina fotografica. Loredana voleva ritornare a Torino e per un anno non disfò la valigia: in cuor suo contava che prima o poi saremmo tornati in Piemonte”.

E invece Benatti è diventato un riminese a 360 gradi.

“Dopo la retrocessione in serie B, a 35 anni, ricevetti l’offerta di un contratto biennale da parte di Reggio Emilia. Rifiutai dopo averci pensato un po’  su: avrei dovuto spostare la famiglia – Benatti ha due figli, Jonathan e Sharon ed è nonno di Davide ed è in attesa del secondo nipote che nascerà a maggio – e dopo dieci anni non mi pareva proprio il caso. Tra l’altro attraverso un amico trovai un ottimo ingaggio ingaggio al Basket San Marino allora in serie D e dunque non ebbi rimpianti a lasciare il professionismo. Coi titani arrivammo fino alla serie B2. Rimini è stata una parte importante della mia vita, qui sono nati i miei figli. Non avrei mai potuto rinunciare al mare, alla spiaggia e al suo sole”.

E infatti Maurizio Benatti lo si incontra spesso sul lungomare, abbronzato, a fare lunghe camminate o a correre a buon ritmo per tenere una forma splendida a dispetto delle 66 primavere. Contento della sua carriera? Nel dopo carriera perché non è rimasto nel mondo del basket?

“Sì, sono soddisfatto di quello che ho fatto. Ho avuto la bravura ma anche la fortuna e la tenacia di restare ai massimi livelli per 15 anni. Non ho rimpianti. Mi sono trovato un lavoro dopo aver capito che il mestiere di allenatore di prima squadra non faceva al caso mio soprattutto perché un coach professionista deve muoversi ancora di più rispetto ad un giocatore e io come avete visto non sono il tipo. Inoltre, non avrei avuto il carattere per questo mestiere legato in modo imprescindibile ai risultati”.

Magari avrebbe potuto farlo a livello giovanile…

“Non in modo professionale sia per i modesti rimborsi sia per i motivi di cui sopra. Mi sono trovato un lavoro fuori dallo sport attraverso un dirigente della società Libertas Tiberio: alla Rossi e Cavalieri Distribuzione Periodici. A settembre 2020 sono andato in pensione. Sono rimasto lì per 32 anni facendo  delle levatacce quotidiane, a lungo anche al sabato e alla domenica. Un lavoro che mi ha permesso, però, nel pomeriggio di coltivare la mia passione per il basket facendo l’allenatore a livello giovanile”.

Lei è al Malatesta Basket…

“L’ho fondata io nel 2001 sulle ceneri della Libertas Primocaso su richiesta delle vecchia dirigenza per dare continuità alla società. Ho scelto la denominazione Malatesta perché mi pareva la più efficace per un club della città di Rimini. Mia moglie è presidente, mio figlio Jonathan il vice, Onide Moretti il dirigente di riferimento e il sottoscritto il responsabile tecnico. Collaboriamo con IBR che ci dirotta i prospetti in sovrannumero: in condizioni normali partecipiamo al campionato Under 18 Elite e Under 13 regionale e curiamo l’attività di minibasket. La nostra palestra è quella di via Sforza, a San Giuliano Mare, un gioiello. Al mio fianco c’è Renzo Galli che si occupa più direttamente della Under 18 Elite. Facciamo parte del progetto RBR, i ragazzi più promettenti li giriamo a RBR. Tommaso Rinaldi, suo fratello Niccolò, Andrea Vitali, Luca Pesaresi hanno mosso i primi passi con me. Quando ero alla Stella mi si è presentato Alex Righetti: dopo quattro allenamenti l’ho mandato al Basket Rimini. Faceva tutto da solo. Era un predestinato”.

Cosa le piace della sua attività?

“Mi piace crescere i ragazzini, vedere anno dopo anno i loro progressi e poter andare al di là dell’aspetto tecnico, puntando anche su quello educativo che è fondamentale. L’attività sportiva è importante perché è prima di tutto uno strumento straordinario per sviluppare la socialità”.

Però lei allena anche, passi il termine, i nonni… E’ coach della Nazionale Over 60. Come è nata questa iniziativa?

“Nel 2017 ad opera di un mio ex compagno ai tempi di Milano. Abbiamo messo insieme un gruppo di ex giocatori dalla A alla C, ultimamente si è aggiunto anche Silvano Dal Seno. Io ho giocato e adesso faccio il coach. Degli sponsor ci coprono le spese. Nella prima edizione abbiamo conquistato il secondo posto ai Mondiali di Montecatini perdendo con gli USA. Ci vediamo due volte al mese a Bologna, ci alleniamo anche a Milano. Sono saltati per la pandemia gli Europei di Malaga nel 2020, vediamo ora che cosa accadrà adesso con questa pandemia. E’ tutto molto divertente”.

Come diventa cestista Maurizio Benatti?

“Ho giocato a calcio, nei Pulcini del Torino fino ai 12 anni. La mia famiglia riponeva in me grandi speranze. Poi succede che per partecipare ai campionati Studenteschi entro nella squadra di basket. Mi appassiono alla pallacanestro. Il mio primo allenatore è stato Vittorio Barbiani Gonzales. L’ho avuto per quattro anni ed è stato un personaggio molto importante nella mia crescita tecnica. Poi sono andato in prestito all’Onestà Milano, la seconda squadra cittadina vincendo il titolo italiano cadetti: i miei compagni di squadra era Ciccio Grasselli, Nino Florio e Mimmo Giroldi. Allora facevo il pendolare tra Torino e Milano, poi mi misero in un College. Dopo un anno tornai a Torino dove mi giostravo tra giovanili e prima squadra”.

I risultati più significativi?

“A Roseto degli Abruzzi perdemmo lo scudetto Juniores nella finale contro il Simmenthal: sconfitta di un punto. Segnavo 20 punti a partita, tiravo molto. Ero un play atipico, più una guardia. Avevo 17 anni. Nello spareggio della prima squadra contro l’Alpe Bergamo per la promozione in serie B mi venne a vedere il buon Cesare Rubini e mi portò all’Olimpia Milano, la squadra dei campioni. Ero un giocatore di interesse nazionale, nei piani dovevo prendere il posto del partente Giorgio Giomo. Con la Nazionale cadetti perdemmo la finale degli Europei contro la Jugoslavia di Kikanovic e allo stesso modo andò con quella Juniores”.

Che tipo era Cesare Rubini?

“Rubini era un vincente. Un uomo di carattere, non accettava di perdere neppure a tressette sul pullman. Alla fine del primo tempo della finale di Coppa delle Coppe a Praga attaccò al muro Bariviera perché era svogliato. Nel secondo tempo fece la differenza. Anche Reggie Johnson a volte era indolente, ma quando era sul pezzo vinceva le partite da solo. Un campione”.

Il suo esordio in prima squadra?

“Iellini e Brumatti si infortunarono e io fui catapultato nella mischia. All’esordio a 18 anni debuttai a Torino contro la Saclà di Caglieris segnando 20 punti: proprio Carlo mi fece i complimenti a fine partita. Poi mi trasformai in play puro, classico, sotto l’esempio quotidiano di Iellini, un maestro. Col marchio Innocenti vinciamo la Coppa delle Coppe ma in campionato retrocediamo in serie A2. Il coach era Pippo Faina”.

Resta a Milano per altre due stagioni con la sponsorizzazione Cinzano. Nel 1977 rieccola a Torino dove resta per cinque stagioni.

“All’Olimpia con l’arrivo di Mike D’Antoni e l’inserimento dei gemelli Boselli per me non c’è più posto.  La Chinamartini è in A2 e ritrovo Pino Brumatti, un amico di cui serbo un ottimo ricordo: con lui tra Milano e Torino ho giocato assieme per dieci anni. Nel primo anno siamo promossi,  per due volte perdiamo la semifinale scudetto contro la Billy Milano. A Milano nelle giovanili era con me Renzo Vecchiato. Quando ero un ragazzino all’Olimpia ho ammirato campioni come Masini, Bariviera, Cerioni. Sono sempre stato trattato con rispetto e incoraggiato da tutti loro. A Torino ho giocato al fianco di Sacchetti e Caglieris, con Della Valle in crescita, gli americani Grochowalski, Denton e Ford, gli ultimi due ex NBA”.

La sua prima stagione a Rimini con la canotta Sacramora non fu esaltante. Negli occhi i tifosi avevano Beshore.

“Ma io ero un altro tipo giocatore, avevo altre caratteristiche, lui aveva molta confidenza col canestro. Diciamo che mi sentii tollerato. La squadra si salvò col fiatone”.

Poi arrivo il Topone, Piero Pasini. Come era il suo rapporto col coach?

“La squadra al suo arrivo venne ritoccata ed io venni esaltato nelle caratteristiche di regista. L’inizio non fu dei migliori, attorno a noi si respirava scetticismo, in realtà dovevamo solo assimilare il metodo di lavoro del nuovo allenatore. In campo pretendeva tanta attenzione il Topone, ebbe il merito di tirare fuori da ciascun giocatore addirittura più delle sue potenzialità. Fummo tutti determinanti, dal primo all’ultimo. Il grande merito di Pasini fu di sapersi adeguare alle caratteristiche dei giocatori. Giocavamo in contropiede sfruttando il contropiede di Cecchini, ma anche il gioco organizzato in attacco con ottime combinazioni sotto canestro dove Sims svettava con la testa all’altezza del ferro”.

E' stato il Topone il coach più importante della sua carriera?

"Sì, assieme a Vittorio Barbiani Gonzales che mi ha allevato e a Sandro Gamba. Pasini ha saputo tirare fuori il meglio da me; Gamba l'ho avuto alla Chinamartini Torino a 22 anni: era esigente, ma lo seguivi perché sapevi che con lui potevi solo migliorare. Ti dava entusiasmo".

E’ vero che fu lei a consigliare Ernst Wansley a Pasini?

“Accadde durante una cena a casa di Claudio Papini con coach Pasini, Cecchini ed altri compagni di squadra suggerii il nome di Wansley, che aveva giocato con me a Torino per tre anni. Era arrivato come ala, era magro, e aveva un bel tiro da fuori. Poi fu spostato sotto canestro. Prima di tutto era un amico, ma conoscevo profondamente che il tipo di giocatore fosse, il lavoro sporco che sapeva svolgere sotto canestro. Sarebbe stato il partner ideale dell’asse play-pivot della nostra squadra. Ernesto era giocatore efficace e i risultati, alla fine, mi diedero ragione. Ora Wansley vive in Virginia e spesso ci sentiamo”.

Stagione 1986-1987, Hamby, coach Dado Lombardi, retrocessione n A2, infortunio al tallone.

“Mamma mia – esclama sorridendo Benatti – i cattivi presagi li colsi subito. Io mi ruppi il tallone nell’ultimo minuto dell’ultimo allenamento dell’ultimo giorno di ritiro, a Brunico. Restai a fuori alcuni mesi. Magari il mio infortunio incise, non so,  comunque perdemmo delle partite di poco e alla lunga tutti giocavano per se stessi invece che di squadra. Ma il problema vero fu che la squadra era male assortita, aveva dei doppioni e in più non riuscì a mettersi in sintonia coi tatticismi del coach Lombardi, un personaggio particolare”.

Prima ha citato la retrocessione in B come la delusione sportiva più grossa della sua carriera. La soddisfazione più grossa fu la promozione in A1…

“Certamente e a queste metterei numerose prestazioni personali di livello. Ad esempio non potrò dimenticare il colpaccio a Milano contro la mia Olimpia, di fronte a D’Antoni. Una soddisfazione personale di non poco conto visto che a 23 anni fui spedito a Torino proprio per l’arrivo di Mike. Contro di lui ho sempre giocato ottime partite, non ho mai sofferto il peso del suo nome. Dicevano che ipnotizzava l’avversario: io sono stato sempre ben vigile”.

Benatti, come è cambiato il basket dai suoi tempi per quanto riguarda in particolare il suo ruolo?

“Negli anni successivi al mio ritiro la pallacanestro è diventato uno sport molto fisico, le squadre sono mediamente molto alte, tutti portano palla, si gioca molto soprattutto per se stessi. Non è il mio basket. Il mondo giovanile è molto più divertente”.

Lei ha conosciuto un giovanissimo Carlton Myers.

“Si vedeva che era talentuoso. In allenamento gli suggerivo di studiare e di pensare anche al dopo basket. Lui mi disse: ‘Punto tutto su quello che diventerò’. Ha avuto ragione lui”.

Maurizio Benatti, ha un sogno nel cassetto?

“Continuare a divertirmi nel mondo dei ragazzi, vedere affermati i miei giovani giocatori nelle varie forme della loro vita”.

Stefano Ferri

Nella foto gallery 1) Un time out della Marr: a sinistra coach Pasini, il massaggiatore Angeli e Benatti. 2) Benatti con la maglia della Innocenti Milano. 3) La Marr promossa in serie A1 (83-84): Benatti è il quarto da destra accosciato. 4) La Sacramora 82-83: Benatti il secondo da destra col numero 14. 5) Nelle vesti di coach.

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