Studente non vuole tagliare i capelli rasta e viene sospeso, il caso arriva alla Camera
All'istituto alberghiero di Riccione scoppia il caso del capello. Uno studente 16enne è stato infatti sospeso tre giorni, per essersi presentato con i capelli rasta al rientro dalle vacanza natalizie....

All'istituto alberghiero di Riccione scoppia il caso del capello. Uno studente 16enne è stato infatti sospeso tre giorni, per essersi presentato con i capelli rasta al rientro dalle vacanza natalizie. La dirigente dell'istituto, la dottoressa Daniela Casadei, ha applicato il regolamento interno, che chiede acconciature, trucchi e abbigliamento decorosi, ordinati e curati. "Dura lex, sed lex": ma il ragazzo non ha voluto cambiare look e non si è tagliato i capelli. Risultato, è stato allontanato nuovamente dalla scuola. Vani anche i tentativi di mediazione dei genitori: i capelli rasta erano comunque corti e raccolti, non avrebbero portato problemi dal punto di vista igienico-sanitario e lo studente si era già distinto in uno stage presso un bar di Riccione, oltre a brillare sul piano dei risultati scolastici.
La vicenda arriva così nei palazzi della Politica. L'onorevole Giovanni Paglia di Sinistra Ecologia ha depositato un'interrogazione al Miur: "nei confronti del ragazzo discriminazione e attacco alla libertà personale, ogni persona ha il diritto di esprimere la propria personalità attraverso abbigliametno e acconciature". Secondo Paglia, i capelli lunghi non hanno nulla a che fare con le regole igieniche-sanitarie.
La FLC Cgil e la Cgil di Rimini giudicano invece "sconcertante" la sospensione che entrerebbe in contrasto con l'articolo 34 della Costituzione ("La scuola è aperta a tutti").
I Segretari generali Roberto Barbieri e Graziano Urbinati stigmatizzano le azioni e le dichiarazioni rilasciate alla stampa dalla dirigente della Scuola che, dinnanzi ad un minore in obbligo formativo, prima di tutto deve mettere in atto misure di accoglienza e non di allontanamento come invece ha fatto, di sospensione dalla scuola e dalle attività didattiche.
Questo atteggiamento – spiegano Barbieri e Urbinati – è lesivo della libertà personale e del diritto allo studio del minore, che non può essere pregiudicato da un comportamento discriminatorio della struttura formativa.