Riciclaggio, condannato Dino, fratello di Vanna Marchi
Dino Marchi, fratello di Vanna Marchi, è stato condannato per riciclaggio dal Tribunale di San Marino a quattro anni e sei mesi di carcere, senza benefici di legge e in base all’articolo 199 bis del C...

Dino Marchi, fratello di Vanna Marchi, è stato condannato per riciclaggio dal Tribunale di San Marino a quattro anni e sei mesi di carcere, senza benefici di legge e in base all’articolo 199 bis del Codice penale. La sentenza è stata pronunciata dal Commissario della Legge Alberto Buriani, il quale ha praticamente accolto la richiesta di cinque anni avanzata dal Procuratore del Fisco (Pm, ndr) Roberto Cesarini. Maria Antonietta Pari, difensore di Marchi, ha già annunciato il ricorso in appello. La vicenda iniziò nel 2002, quando il compagno di Vanna Marchi, Francesco Campana, accese un certificato di deposito al portatore – ora, in base ad una legge del 2009, non più possibile -, depositando alla Banca Agricola Commerciale 300 milioni di lire. Quando, dalla Procura di Milano, arrivò sul Titano la rogatoria per verificare la presenza di eventuali conti correnti collegati a Vanna Marchi, all’epoca già indagata per truffa, Campana disse di aver smarrito il certificato e chiese al Giudice un provvedimento per dare pubblicità al fatto che la somma fosse sua. Per sette anni quei 150mila euro rimasero inutilizzati in un conto della BAC. Questo fino a quando Dino Marchi, nel 2009, non chiese alla Banca Sammarinese di Investimento di prelevare la somma. La BSI si rivolse quindi alla BAC che, fatte le dovute verifiche, segnalò il fatto all’Agenzia di informazione finanziaria, in quanto a ritirare il deposito al portatore si era presentata una terza persona. Per San Marino, dallo scorso anno, questo significa riciclaggio. Da qui l’indagine. L’Agenzia di informazione finanziaria, dopo aver disposto il blocco della somma, comunicò il fatto al tribunale che tramutò il blocco in sequestro, firmato dal Commissario della legge Rita Vannucci. Per l’accusa quei soldi sono parte dei proventi illeciti di Vanna Marchi e della figlia Stefania Nobile, già condannate per bancarotta fraudolenta, per truffa aggravata e associazione per delinquere finalizzata alla truffa. La difesa sostiene invece che quegli stessi soldi appartengono a Dino Marchi, essendo frutto del suo lavoro, e che il libretto al portatore fu aperto insieme a Francesco Campana in quanto quest’ultimo aveva già rapporti con la BAC. Sta di fatto che, in caso di condanna definitiva, la somma resterà allo Stato di San Marino.