Rimini, non si sogna? Il campionato di C è questo: tante partite inno alla mediocrità
Rimini, manca davvero il sogno che rende appetibile il progetto? O forse ci sono delle problematiche strutturali che non dipendono dai biancorossi?


di Riccardo Giannini
Il collega Alessandro Giuliani nell’editoriale odierno (mercoledì 6 ottobre) sul Corriere Romagna individua, a suo dire, un grosso limite che caratterizza il Rimini di oggi. Quella biancorossa è una squadra che non è focalizzata sull’obiettivo massimo della vittoria: non è allestita per lottare per i primi posti e per la promozione in Serie B.
Manca la dimensione del sogno, evidenzia in un editoriale interessante e appassionato, che spiega quella disaffezione che a volte si percepisce da parte della tifoseria. Da parte della piazza c’è anche la convinzione, credo, che questa società possa fare di più a livello di investimenti sulla rosa, fermo restando l’apprezzamento per quelli fatti sulle strutture.
Ma può il tifoso affezionarsi e appassionarsi solo inseguendo il sogno serie B, che peraltro rimane l’obiettivo di questa società, anche se non a breve termine? Quindi non potendo (o non volendo) il Rimini fare una squadra da promozione, i tifosi devono mettere nell’armadio sciarpe e bandiere?
Io credo invece che la disaffezione nasca principalmente per un’altra causa. A spegnere il sogno non è il Rimini, ma il calcio in sé. Una volta la partita della domenica era un rito, oggi abbiamo calendari congestionati e sovraccaricati, anticipi, posticipi, orari spesso improponibili. In C ci sono tre promozioni dirette, una per girone, e una quarta che arriva al termine di un playoff lungo ed estenuante.
Questa “overdose” di calcio fa allontanare facilmente il tifoso in C, nei casi in cui la sua squadra non abbia un rendimento particolarmente eccelso (lottare per la B o trovarsi nelle parti alte della classifica con una squadra inizialmente accreditata…per i playout).
La qualità di gioco si abbassa: l’intensità delle prestazioni cala, gli infortuni abbondano, i turnover tolgono coesione alle squadre. Succede in A, in B, in C. Per questo a livello tecnico non ci si appassiona: troppe partite di C sono un inno alle mediocrità, nonostante interpreti comunque più che dignitosi per lo spettacolo.
Senza contare che tra Serie B e C c’è un’ampia differenza di valori che rende difficilissimo oggi ripetere le parabole di squadre come il Castel di Sangro o il Cittadella (perla rara del nostro calcio…): questo, unito ai costi molto alti, costringe le società come il Rimini a fare i passi con prudenza. Deve esserci una crescita in tutto, non solo negli aspetti di campo.
Tornando però a quest’ultimi, in questi campionati di C i giovani faticano a crescere. Campionati dove peraltro metà delle squadre hanno un numero di Under pari o vicino allo zero e altre in campo con 4-5 Under. Al Rimini non mancano i giovani forti: ma serve tempo per farli crescere e questo è inevitabile (verrebbe da dire, serve anche il tempo per farli recuperare dagli infortuni…).
I giovani forti in categoria sono “embrioni” di giocatori forti: i giovani più pronti giocano in altre categorie. L’allenatore è fondamentale in questo percorso di crescita. Ad esempio far giocare Longobardi da braccetto sinistro, senza sfruttare la capacità di corsa sulla fascia, penalizza il giocatore e il gioco della sua squadra, anche se muoversi in una posizione diversa è sempre un bagaglio d’esperienza in più. In sostanza non vediamo il miglior Longobardi.
Il mio non è un attacco a un professionista serio e preparato come l’attuale allenatore biancorosso, che su Lepri sta lavorando benissimo e che ha mille motivi per schierare Longobardi lì, ma è semplicemente un esempio. Anche perché il calcio moderno, rispetto a quello del passato che ricordiamo spesso con tanta nostalgia che sfocia nel pericoloso nostalgismo, era un calcio con molti meno dettagli: oggi è tutto molto più difficile.
Io credo che con un calendario meno congestionato la situazione possa migliorare, restituendo al calcio la sua miglior dimensione. E per rendere più appetibile la terza serie, anche in assenza di un “progetto a vincere”, a mio modo di vedere serve una riforma.
Un girone unico di Serie C1 a 18 squadre, con le promozioni in B e sei retrocessioni in Serie C2, tre gironi di Serie C2 a 18 squadre ciascuno, con 9 retrocessioni totali, tre promozioni dirette e tre al termine dei playoff che riguarderebbero però solo il singolo girone, senza tanti incroci.
Il calcio è in costante evoluzione e il tavolo delle riforme dovrebbe essere sempre “aperto” per cercare di fornire un prodotto migliore ai tanti appassionati, che altrimenti diserteranno non solo gli stadi, ma anche i canali streaming delle partite, considerando anche il prezzo piuttosto salato degli abbonamenti.