Di Riccardo Giannini
Una storia lunga 65 anni che è pronta a inaugurare un nuovo capitolo. Il ristorante La Grotta di Pietracuta è una delle attività più longeve dell'Alta Valmarecchia e un punto di riferimento nell'offerta enogastronomica del territorio. Dal 29 maggio chiuderà per circa due mesi per una profonda ristrutturazione, con l'obiettivo di riaprire a inizio agosto. “Un rinnovo non estetico, ma strutturale“, spiega il titolare Lucio Saccani, 42 anni e un passato da calciatore dilettante.
Il progetto nasce un anno prima della pandemia. “Dal 2019 iniziamo a pensare di voler avere una cucina più pronta alla nostra idea di ristorazione. Spazi differenti, ma anche tecnologie differenti. Però la cucina rimarrà la stessa, sempre basata sul territorio, in maniera apicale”. L'impatto economico sarà superiore “a causa dei rincari post Covid e post conflitto in Ucraina, senza dimenticare il bonus 110% che ha alzato il prezzo di tutto. Le spese sono raddoppiate”. Tuttavia la proprietà de “La Grotta” ha avuto accesso ai fondi di un bando regionale, con un progetto classificatosi al trentesimo posto su migliaia di progetti candidati. E ora si parte, il 29 maggio iniziano i lavori, finalizzati a ricavare una “champagnerie, un'enoteca molto grande, collocata nel cuore del ristorante e vi si potrà cenare all'interno. Con vetrine piene di bollicine e di vini importanti per accompagnare la cena”, spiega Saccani. La cucina sarà a vista, “il cliente vedrà il nostro lavoro”. In vetrina finiranno anche le carni: “La allestiremo, con le lombate delle migliori carni locali, dando risalto alle piccole aziende della Vallata. Lo fanno anche altri, ma noi avremo appunto solo carne del territorio: massimo allevata a una ventina di km da noi“.
Ma il rinnovo strutturale non riguarda solo l'aspetto esteriore del locale. “Abbiamo uno staff solido, che si è arricchito di figure importanti che già facevano parte della famiglia. L'accoglienza del cliente è uno dei nostri punti di forza. E con questo restyling vogliamo creare un ambiente di lavoro più bello possibile. Faremo spogliatoi nuovi, più confortevoli, una sala ricreativa per lo staff”. Per i dipendenti non è l'unica buona notizia: “Chiuderemo per diverse settimane, ma i nostri dipendenti riceveranno ugualmente lo stipendio pieno. La nostra concezione di ristorazione è diversa anche per questo”. Turni massacranti, niente giorni di riposo e niente ferie? No, alla Grotta è tutto diverso. “I nostri dipendenti possono lavorare cinque giorni alla settimana e usufruire di due giorni liberi, uno nel giorno di chiusura del locale più un altro giorno. I turni lavorativi sono serali, solamente nel periodo del tartufo facciamo 1 o 2 pranzi settimanali. E con la nuova Grotta, ci sarà la possibilità di giorni di riposo anche nel weekend. a turno. Sarà possibile grazie allo studio col quale ho progettato la fisionomia della cucina. Vogliamo lasciare tempo libero a noi e alle nostre famiglie, e ai nostri dipendenti: da noi hanno ferie regolari“.
Ha le idee chiare Lucio Saccani, che appartiene a tre generazioni di ristoratori, da tutti i due ceppi: “Luciana, la mia nonna materna, gestiva assieme a nonno Fabiano, ex calciatore, l'hotel del monte Aquilone. Mia nonna paterna Irene invece nel 1958 ha aperto l'allora bar di paese, facendo piccola ristorazione. Stesso viale (Viale Umberto I, n.d.r.), ma in fondo al paese. Ed era dentro una grotta: da qui il nome“.
Nel 1982 il locale si è sposato nell'attuale location. “mio padre Lorenzo e mia zia Elisa entrarono nella gestione, assieme ai propri partner Delio e Claudia, mia madre. Era una pizzeria-sala giochi, un ritrovo per le persone del paese. La parte di ristorazione copriva il 10%”, evidenzia Lucio Saccani. Con il suo ingresso, negli anni 2000, “La Grotta” è cresciuta come ristorante, specializzandosi in piatti a base di funghi e tartufi. Senza mai perdere l'identità e valorizzando i prodotti locali. “Mio nonno paterno, Pierino, era un camionista e portava qui i prodotti tipici locali delle tappe dei suoi viaggi. Noi oggi tutto il meglio che troviamo nel nostro territorio lo proponiamo nei nostri piatti, in maniera stagionale“. Una via “che dovrebbero seguire tanti” anche per preservare le tradizioni e le eccellenze gastronomiche del territorio. Un esempio è quello del Bue grasso del Montefeltro: “Un progetto che ci lega alla norcineria Celli di Novafeltria e all'azienda agricola che lo alleva, l'azienda di Pietro Grazia, a Perticara. Gli unici a farlo. È il recupero di un'antica tradizione: il bue veniva utilizzato per trainare l'aratro, prima dell'impiego dei trattori“. Lo serviamo tre weekend all'anno, e uno sarà proprio il prossimo weekend, quello del 19 maggio , perché sono allevati in maniera naturale, biologica, non intensiva”, prosegue il ristoratore.
Potremmo parlare, senza offendere nessuno, di sano sovranismo alimentare che fa crescere anche il piccolo produttore locale: “È facile acquistare con un click una carne allevata dall'altra parte del mondo. Comprando dal piccolo produttore locale, invece, si crea una sinergia. Noi proponiamo un prodotto di qualità e aiutiamo chi lo produce. E il territorio soffre meno di spopolamento e di carenza di attività”.