Rimini, decreto flussi migratori: Un sistema da rivedere, i numeri non tornano
I fabbisogni dichiarati non corrispondono alle domande precompilate

Il 10 gennaio scorso, durante un incontro convocato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro di Rimini, alla presenza delle associazioni datoriali, sindacali e della Prefettura, sono stati condivisi i fabbisogni del 2024 e avanzata una proposta unanime di aumento delle quote d’ingresso per i lavoratori stranieri destinati alla provincia di Rimini nel 2025. La richiesta avanzata ammonta a 898 posizioni, di cui 640 per il lavoro stagionale, a fronte delle 700 quote assegnate dal Ministero.
Flussi: i conti non tornano
Ciò che sorprende, soprattutto in relazione alla persistente carenza di personale, è scoprire che i fabbisogni dichiarati non corrispondono alle domande precompilate dello scorso anno, in particolare quelle presentate dalle associazioni datoriali dei settori Agricoltura e Turismo, firmatarie del Protocollo d’Intesa.
Infatti, nel 2024, le associazioni di questi settori hanno presentato solo 75 domande per il lavoro subordinato stagionale su un totale di 555 precompilate. Il Ministero ha poi assegnato 550 quote, coprendo il fabbisogno al 99%.
Tuttavia, per quanto riguarda il lavoro subordinato non stagionale, a fronte di 460 domande precompilate, sono state assegnate solo 130 quote, con una copertura del fabbisogno pari appena al 28%. La domanda è: perché i fabbisogni di personale variano a seconda che vengano dichiarati in sede istituzionale o sui media?
Un meccanismo da rivedere profondamente
Oltre ai numeri, è evidente che la procedura dei flussi richiede una revisione sostanziale. Sebbene le azioni di semplificazione possano velocizzare gli adempimenti e il rilascio del nulla osta e dei visti d’ingresso, queste non sono soluzioni sufficienti a garantire la tutela delle persone e il loro diritto a un lavoro regolare nell’ambito della mobilità internazionale.
Una prima azione necessaria sarebbe l’introduzione di una procedura di regolarizzazione che coinvolga tutti i settori economici e produttivi, e non solo l’agricoltura e il lavoro domestico, come previsto nel 2020. Inoltre, l’istanza di regolarizzazione dovrebbe poter essere presentata non solo dalle imprese, ma anche da chi lavora o ha già lavorato. L’attuale sistema sta dimostrando di essere insufficiente e inadeguato.
L’attuale procedura dei flussi dovrebbe essere superata per permettere un accesso continuo alle regolarizzazioni, basato sul fabbisogno reale. Questo dovrebbe includere la possibilità di accedere ai flussi anche per chi è già presente sul territorio nazionale, come accaduto nel 2021. Ciò creerebbe un canale qualificato per far emergere situazioni di irregolarità che altrimenti rischiano di sfociare nello sfruttamento lavorativo.
L’aumento delle quote, senza una revisione profonda della procedura e del quadro normativo che regola il rapporto tra lavoro e migrazione, non ha risolto il problema dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Inoltre, il sistema del “click day” continua a rivelarsi inefficiente e casuale.
È necessario un cambio di impostazione | La ricerca di lavoro dovrebbe presupporre la libertà di ingresso sul territorio nazionale, ad esempio tramite un permesso di soggiorno per ricerca di occupazione, con una durata definita e regole simili a quelle per l’attesa di occupazione. Allo stesso tempo, le aziende dovrebbero poter valutare le candidature attraverso liste dedicate, corredate da curriculum e bilanci delle competenze, consultabili presso ambasciate e consolati nei Paesi di origine.
L’obiettivo deve essere quello di costruire un sistema di gestione e canalizzazione della domanda di lavoro, attualmente inesistente, al di là delle dichiarazioni ufficiali. Un sistema con regole condivise, principi chiari e trasparenti, capace di contrastare lo sfruttamento lavorativo causato dagli attuali meccanismi.
I cambiamenti sono necessari e devono considerare il valore che i migranti, anche con competenze medio-basse, apportano alla crescita economica e sociale dell’Italia e dei loro Paesi di origine. È fondamentale riconoscere i vantaggi del lavoro regolare, tra cui l’incremento contributivo e fiscale, la riduzione degli spazi per aziende scorrette e mediatori illegali, e la lotta contro la criminalità che si insinua nelle pieghe normative, alimentando sfruttamento, irregolarità e tratta di esseri umani, minando la dignità e la libertà delle persone migranti.