Rimini: false fatture e segreti rivelati, maresciallo espulso dalla Finanza
Un maresciallo riminese favorisce una società sammarinese attraverso fatture false

Un maresciallo della Guardia di Finanza di Rimini è stato rimosso dal corpo in seguito alla decisione del Consiglio di Stato, che ha ribaltato una precedente sentenza del Tar. Come riporta Corriere Romagna, il massimo organo della giustizia amministrativa ha dato ragione al Ministero dell’Economia e al Comando Generale delle Fiamme Gialle, confermando la legittimità del provvedimento che, nel luglio 2022, aveva disposto la “perdita del grado per rimozione” nei confronti del militare. Il maresciallo era coinvolto in un procedimento penale circa la presunta formazione di fatture false da presentare all’Agenzia delle Entrate di Rimini. Le fatture sarebbero state fatte passare come rese a favore di una società sammarinese, per favorire una persona su cui l’Agenzia stava svolgendo un accertamento tributario.
Secondo le accuse, il maresciallo, sfruttando la sua posizione, avrebbe fornito i dati identificativi completi di clienti di gioiellerie situate a Riccione e Cortina d’Ampezzo, informazioni poi utilizzate per compilare le fatture false.
Sul piano penale, il militare aveva affrontato un percorso giudiziario che si era concluso in maniera relativamente favorevole: per l’accusa di falso, il Gup di Rimini aveva emesso un giudizio di “non luogo a procedere”, mentre per il reato di corruzione era stato assolto dal Tribunale “per insussistenza del fatto”. L’unica condanna (un anno di reclusione), sempre da parte del Tribunale, era arrivata per l’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio, ma in Appello era intervenuta la prescrizione.
Sulla base di questo percorso giudiziario, il Tribunale amministrativo regionale, a fine 2023, aveva annullato il provvedimento di espulsione dalla guardia di finanza sostenendo che il giudizio sul comportamento tenuto dal militare “non trova esatta corrispondenza nelle sue effettive responsabilità”. Secondo i giudici amministrativi, la gravità della vicenda giudiziaria complessiva avrebbe influenzato il provvedimento disciplinare, includendo anche accuse non sfociate in una condanna. Di conseguenza, il Tar aveva ritenuto che la sanzione fosse sproporzionata rispetto alla violazione effettivamente commessa.
Ministero e Comando hanno impugnato questo pronunciamento del Tar e il Consiglio di Stato ha accolto il loro ricorso: la rimozione è stata decisa valutando “l’aspetto relativo alla rivelazione di informazioni riservate”, il che “è parte rilevante e preponderante e comunque di per se sufficiente a giustificare la decisione espulsiva”. Insomma, era giusto andare con la mano pesante anche perché, sottolineano i giudici, si tratta “di comportamenti gravi, che confliggono irreparabilmente con lo status rivestito”, e la vicenda “ha reciso inevitabilmente quel rapporto che deve legare i militari del corpo ai valori fondanti della istituzione, in special modo ai doveri di onestà e di legalità e non nocumento sull’immagine”.