Santuario Yasukuni e le donne di conforto: memoria contesa
Le visite al Santuario Yasukuni riaccendono il dibattito sulle donne di conforto e le tensioni storiche tra Corea del Sud e Giappone.


Nell’agosto 2025, il ministro giapponese Shinjiro Koizumi ha preso parte alle cerimonie per l’80° anniversario della resa giapponese, recandosi al Santuario Yasukuni. L’episodio ha suscitato immediate reazioni a Seul, dove è stato percepito come un segnale politico oltre che religioso. Questo evento, molto discusso in Asia orientale, rende ancora più attuale il tema della memoria e dei simboli storici che separano Corea del Sud e Giappone. All’interno di questa trama storica si inserisce anche la questione delle donne di conforto, che continua a influenzare i rapporti bilaterali attraverso forme di memoria pubblica e commemorazione.
A più di settant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, i simboli della memoria restano un terreno di frizione tra Corea del Sud e Giappone.
Origini e significato del Santuario Yasukuni
Nel cuore di Tokyo si erge un santuario shintoista noto come Yasukuni, un luogo di rituali religiosi che ha assunto un significato politico e simbolico, spesso capace di riaprire ferite nel dialogo tra i due Paesi.
Il Santuario Yasukuni fu eretto nel 1869, per commemorare coloro che avevano sacrificato la vita combattendo per l’imperatore giapponese durante la Restaurazione Meiji. Appartenente alla tradizione shintoista, è dedicato agli spiriti (kami) dei caduti in guerra, e ospita rituali e cerimonie che per molti giapponesi hanno valore religioso e patriottico. Nel corso dell’anno, migliaia di visitatori partecipano a festival e riti che rafforzano il legame tra religione, identità nazionale e memoria storica. Con il tempo, l’elenco dei commemorati si è ampliato, includendo soldati e civili caduti in vari conflitti: dalla guerra russo-giapponese del 1904–1905, alla guerra sino-giapponese, fino alla Seconda guerra mondiale. Oggi vi sono registrati oltre 2,5 milioni di nomi.
Per alcuni cittadini giapponesi, il santuario rappresenta un dovere di pietà e continuità culturale; per altri, dentro e fuori dal Paese, è un simbolo problematico, perché non distingue tra semplici soldati e figure legate alle politiche di conquista.
La controversia: chi viene commemorato
Dal 1978, Yasukuni include anche i nomi di alti ufficiali e leader politici condannati dal Tribunale di Tokyo dopo la guerra. Questo aspetto lo ha reso terreno di scontro: per i sostenitori è un gesto di inclusione di tutti i caduti, mentre per i Paesi vicini è un segnale di reticenza nel confrontarsi con le responsabilità del passato. Corea del Sud e Cina, entrambe vittime delle politiche di espansione nipponiche, vedono nelle cerimonie a Yasukuni una forma di revisionismo. Da qui il carattere altamente sensibile di ogni visita ufficiale, soprattutto quando coinvolge ministri o primi ministri.
Le visite dei politici giapponesi
Molti leader giapponesi hanno visitato Yasukuni, generando polemiche e frizioni. L’ex premier Yasuhiro Nakasone vi si recò nel 1985, attirando dure critiche da Pechino e Seul. Junichiro Koizumi, durante il suo mandato (2001–2006), fece più visite, giustificandole come atti privati di devozione. Shinzo Abe, nel 2013, compì una visita ufficiale da primo ministro, provocando un’ondata di proteste internazionali.
Più recentemente, la presenza di Shinjiro Koizumi nel 2025 ha rappresentato non solo un atto personale di devozione, ma anche una scelta con forti ripercussioni diplomatiche. La Corea del Sud ha risposto con dichiarazioni di condanna, ribadendo che finché Yasukuni manterrà tra i suoi registri figure condannate come criminali di guerra, ogni visita ufficiale verrà interpretata come un gesto di revisionismo storico.
<H2> Simboli della memoria: Yasukuni e le statue delle donne di conforto
Così come il Santuario Yasukuni divide per il suo significato religioso e politico, anche le statue della pace, che raffigurano le donne di conforto, sono divenute potenti simboli della memoria storica. Per i sudcoreani rappresentano la richiesta di giustizia e riconoscimento; per molti giapponesi sono percepite come una provocazione, soprattutto quando vengono collocate vicino ad ambasciate o sedi diplomatiche.
Entrambi i simboli testimoniano come la memoria continui a plasmare la diplomazia. Mentre Yasukuni mette in evidenza la difficoltà giapponese a separare pietà religiosa e responsabilità storica, le statue della pace richiamano la sofferenza delle donne coinvolte e la richiesta di una maggiore assunzione di responsabilità. Questo parallelismo evidenzia come la memoria non si esaurisca nei libri di storia, ma viva nello spazio pubblico e nelle relazioni tra Stati.
<H2> Narrazioni alternative e uso politico della memoria
Non tutti gli studiosi condividono la visione dominante che dipinge le donne di conforto esclusivamente come vittime. Alcuni storici, tra cui sudcoreani come Lee Young-hoon e Park Yu-ha, hanno proposto letture più sfumate: secondo loro, almeno una parte delle donne avrebbe accettato quel ruolo per motivi economici. Altri sottolineano come il tema sia stato successivamente sfruttato da movimenti civici e gruppi politici per promuovere campagne di boicottaggio e propaganda anti-giapponese.
Queste prospettive, sebbene controverse, rivelano quanto il terreno della memoria storica sia complesso e quanto venga mobilitato a fini politici.
Memoria e diplomazia a confronto
Il Santuario Yasukuni, così come la questione delle donne di conforto, mette in luce il divario tra esigenze di memoria e necessità diplomatiche. Da un lato, la società giapponese vive la commemorazione come parte del proprio patrimonio religioso e nazionale; dall’altro, Corea del Sud e Cina interpretano queste pratiche come ostacoli a una vera riconciliazione.
Nel frattempo, i governi cercano di bilanciare memoria e pragmatismo. La cooperazione economica e strategica rimane indispensabile, soprattutto di fronte alla crescente influenza della Cina. Tuttavia, le tensioni legate a simboli come Yasukuni e le statue della pace dimostrano che la memoria storica non è un’eredità statica, ma un campo di battaglia vivo, capace di influenzare ancora oggi le scelte politiche e le alleanze nella regione.