"Sostiene Putin": polemiche per i concerti in Italia del celebre basso-baritono russo
La Fondazione Navalny attacca le esibizioni in Italia del basso-baritono Ildar Abdrazakov
“Un altro alleato e propagandista di Putin sta progettando di esibirsi in Italia". Con queste parole l’Anti-Corruption Foundation, l’organizzazione fondata dal defunto oppositore russo Alexey Navalny, ha lanciato un appello contro l’esibizione del celebre basso-baritono Ildar Abdrazakov, attesa il prossimo gennaio al Teatro Filarmonico di Verona nell’opera Don Giovanni di Mozart. Secondo la fondazione, Abdrazakov è “un sostenitore pubblico di Vladimir Putin” e nel 2024 avrebbe ricoperto il ruolo di rappresentante di fiducia nella campagna presidenziale del leader del Cremlino. Oggi dirige inoltre il Teatro dell’Opera e del Balletto di Sebastopoli, in Crimea, territorio ucraino occupato dalla Russia.
L’artista russo è atteso in Italia per una serie di recite previste il 18, 21, 23 e 25 gennaio 2026. “È anche ansioso di raggiungere l’Europa – sostiene l’Acf – soprattutto perché possiede una lussuosa villa qui. Se non interveniamo, avrà successo. Chiediamo al teatro di sostituire l’artista e di stabilire uno standard chiaro: i palcoscenici europei non devono fornire una piattaforma ai sostenitori pubblici attivi della guerra del Cremlino". L’annuncio della partecipazione di Abdrazakov allo spettacolo aveva già sollevato aspre polemiche nei giorni scorsi. L’associazione Liberi Oltre le Illusioni ha invitato la Fondazione Arena di Verona e i suoi soci fondatori – tra cui il Ministero della Cultura, la Regione Veneto, il Comune di Verona, la Camera di Commercio di Verona e Cattolica Assicurazioni – “ad agire con responsabilità e a bandire Ildar Abdrazakov dalle scene italiane”.
La vicenda ricorda da vicino il caso del direttore d’orchestra Valery Gergiev, anch’egli accusato di vicinanza al Cremlino, il cui concerto previsto il 27 luglio scorso alla Reggia di Caserta fu annullato dopo un’ondata di proteste. All’epoca, la cancellazione dell’evento aveva scatenato anche una dura reazione dell’ambasciata russa a Roma, che aveva definito la decisione “un atto di discriminazione politica”.
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