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Spiare i messaggi su Whatsapp, avv.Catrani: "È reato, pene fino a 10 anni"

L'avvocato riminese Catrani commenta un'importante sentenza della Cassazione: un uomo aveva prelevato chat dallo smartphone dell'ex moglie ed è stato condannato

A cura di Redazione
05 giugno 2025 12:54
Spiare i messaggi su Whatsapp, avv.Catrani: "È reato, pene fino a 10 anni" - Repertorio (dal web)
Repertorio (dal web)
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Spiare i messaggi sul telefonino di un marito o di una moglie, per cercare ad esempio prove sull'infedeltà coniugale, può avere gravi conseguenze dal punto di vista penale.

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito infatti che spiare i messaggi su WhatsApp, la nota app di messaggistica per smarpthone, è reato.

L'avvocato riminese Alessandro Catrani commenta la sentenza sui propri canali social: WhatsApp è considerato "un sistema informatico, la cui violazione e accesso abusivo sono perseguibili e possono costare fino a 10 anni di reclusione",esordisce il noto legale.

La Cassazione si è occupata del caso di uomo condannato in Appello a Messina per aver estratto alcuni messaggi dalle chat di WhatsApp e il registro chiamate dagli smartphone della sua ex moglie, da utilizzare come prova a sua favore nella causa di separazione. 

 L'uomo- racconta l'avvocato Catrani - era stato accusato già di violenza privata per un altro episodio. Nel 2022, infatti, la moglie aveva denunciato atteggiamenti molesti e ossessivi, visto che il marito le controllava il cellulare.  Qualche mese dopo lo aveva poi querelato per aver estratto, da un telefono cellulare che utilizzava per lavoro e che non trovava più da tempo, diversi screenshot dal registro chiamate e dalla messaggistica, consegnandoli al suo legale, il quale li aveva prodotti in sede di giudizio civile, ai fini di addebito della separazione".

"Alcuni screenshot includevano anche messaggi contenuti in un cellulare che lei usava ancora: e in entrambi i casi vi erano delle password di sicurezza", aggiunge l'avvocato Catrani. 

L'avvocato Alessandro Catrani
L'avvocato Alessandro Catrani

Secondo i giudici della Cassazione, entrando nel merito della questione giuridica, "WhatsApp deve essere ritenuto un sistema informatico, in quanto si tratta di un'applicazione software progettata per gestire la comunicazione tra utenti attraverso messaggi, chiamate e videochiamate, utilizzando reti di computer per trasmettere i dati, combinando hardware, software e reti per offrire il suo servizio".

"Dunque, tornando alla sentenza, quell'uomo ha arbitrariamente invaso la sfera di riservatezza della moglie attraverso l'intrusione in un sistema applicativo. L'accesso al sistema applicativo dovrebbe essere riservato al solo proprietario del mezzo", evidenzia l'avvocato Catrani.

A peggiorare le cose il fatto che vi fossero anche delle password. "Anche nel caso in cui vi sia il consenso del proprietario vi può comunque essere il reato.  Se cioè il proprietario del telefono dà la password a un'altra persona, il permesso per accedere al cellulare è comunque per un lasso di tempo limitato: e se la persona continua a mantenere l'accesso è comunque penalmente perseguibile.  E lo rimane anche se, avendo il permesso dal proprietario, vuole andare a leggere chat o in informazioni che non aveva il permesso di vedere. I giudici, infatti, hanno scritto che sussiste il reato contestato, poiché la protezione del sistema era stata assicurata attraverso l'impostazione di una password".

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