Valmarecchia, terra di mulini e memorie. La storia del "granaio dei Malatesta"
Storie di mugnai, folletti e tradizioni che vivono nel cuore della valle

Un luogo suggestivo, ricco di fascino e testimonianza di una storia non troppo lontana: quella dei mulini a pietra, che fino alla seconda metà del secolo scorso erano punto di riferimento per tante famiglie, visto che il pane, la pasta e i cereali in generale erano, come lo sono oggi, alla base dell'alimentazione. Per non correre il rischio che la farina potesse prendere umidità, si usava andare al mulino con una certa frequenza, macinando poco grano per volta, quel tanto necessario che potesse bastare alla famiglia per un breve periodo. Nella sola Valmarecchia, a partire da Pennabilli e Casteldelci fino a Rimini, ne sono stati censiti ben 165, non solo lungo il fiume, ma anche sui tanti affluenti che dalle colline scendevano verso il Marecchia.
Un numero che oggi potrebbe sembrare impressionante, ma si pensi che all'epoca le aree montane erano molto più popolate e i mezzi di trasporto non erano di certo quelli odierni: ci si doveva andare a piedi o con carri trainati da animali, visto che i mezzi meccanici non tutti se li potevano permettere.
I mulini non erano solo luoghi in cui il grano veniva trasformato in farina, ma anche luoghi di incontro e socializzazione per gli adulti, nonché di gioco per quei bambini che accompagnavano i genitori, bambini che amavano passare il tempo nell'acqua del bottaccio o nella fossa, in cerca di pesci, anguille o semplici giochi d'acqua.
C'era un tempo in cui la Valmarecchia fu definita il granaio dei Malatesta. Nei secoli i mulini hanno conosciuto storie diverse: se alcuni furono tramandati per generazioni, tanti altri hanno cambiato conduzione o denominazione, come quando, sotto lo Stato Pontificio, presero nomi più ecclesiastici o quando, durante il periodo della guerra, furono le donne a condurre con successo gli impianti molitori, sostituendo i mariti impegnati al fronte.
All'altezza di Ponte Verucchio nascono poi le due fosse laterali: la fossa Patara in riva destra, che raggiungeva la zona di Marina Centro, e la fossa Viserba in riva sinistra. È su quest'ultima, che attraversa il territorio di Poggio Torriana, che ha trovato nuova vita il Mulino Sapignoli.
Sapientemente recuperato dall'allora amministrazione di Poggio Berni, la struttura ospita al primo piano la locale biblioteca intitolata al Beato Pio Campidelli, mentre il piano terra e l'antistante parco sono la sede del Museo dell'arte molitoria, costituito da una suggestiva sala macine e da sale espositive ove si raccontano le fasi della macinatura, le numerose mansioni e incombenze spettanti ai mugnai, la presenza dei mulini nella valle, storie che si intrecciano a racconti di quella che era la vita dei mugnai e delle loro famiglie, di chi quelle realtà le ha vissute.

Il museo è visitabile durante la settimana negli stessi orari della biblioteca che ne cura apertura e visite guidate, mentre ogni prima e terza domenica di ogni mese sono i "folletti", ovvero i volontari dell'associazione Amici del Mulino Sapignoli APS, a prendersene cura.
La nomea di folletti non è buttata lì a caso: sono tante le storie tramandate di generazione in generazione riguardo a fatti inspiegabili accaduti nei mulini, dalle criniere dei cavalli ritrovate all'alba misteriosamente intrecciate, alle macine che, sempre nella notte, iniziavano a ruotare senza che nessuno le avesse azionate. Fatti che trovavano come comune capro espiatorio i folletti, creature che si diceva popolassero luoghi come i mulini.
E come i folletti entravano in azione quando il mugnaio smetteva di macinare, gli Amici del Mulino Sapignoli entrano in azione nei giorni di chiusura del museo, provvedendo in questo caso a "macinare cultura" attraverso aperture straordinarie con visite guidate, che si alternano ad eventi culturali che spaziano dalla valorizzazione di prodotti tipici locali, presentazioni di libri, allestimenti di presepi artistici, recupero della memoria di tradizioni passate, spettacoli di magia e altro ancora.